IL CARDINALE VAN THUAN: TESTIMONE DELLA SPERANZA CRISTIANA

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iv7r6wx1nb7q-mIl Cardinale Van Thuan. La forza della speranza” è l’ultima fatica letteraria di Annachiara Valle, giovane vaticanista di Jesus e collaboratrice di Famiglia Cristiana. Pubblicato dalle Edizioni Cantagalli di Siena (pagg. 79, euro 8,00, febbraio 2009), fin dalle prime pagine di questo volumetto il lettore viene completamente rapito dalla figura del cardinale Francois Xavier Ngueyen Van Thuan.

Già arcivescovo coadiutore di Saigon e nipote dell’ex Presidente sudvietnamita Diem, per tredici anni (di cui nove trascorsi in cella di isolamento) Van Thuan è costretto al carcere dal nuovo regime comunista vietnamita, vincitore della guerra civile; regime esaltato – in quegli anni settanta – dai mass media e dagli intellettuali progressisti occidentali, che manifestavano nelle piazze contro gli U.S.A. e “la sporca guerra in Vietnam”.  

L’arcivescovo Van Thuan fu accusato “di essere servo degli imperialisti e fomentatore di disordini”, e soprattutto di aver collaborato al “complotto tra Vaticano e Stati Uniti”.

In realtà le sue origini familiari non sono estranee all’arresto.

Lo zio Diem non solo era cattolico, ma aveva preso i voti quale monaco dell’ordine benedettino. Da Presidente, nei primi anni ’60, Diem si era prodigato per accordare rifugio e accoglienza ad oltre un milione di sfollati, in fuga dal Vietnam del Nord ormai comunista. Quella parentela segnò per sempre il destino di Van Thuan.

Nel 1973, a seguito degli accordi di Parigi, gli ultimi soldati statunitensi abbandonavano il Vietnam del Sud. Due mesi dopo, i comunisti del Nord marciavano su Saigon, assumendo presto il controllo della capitale e dell’intero Paese.

Durante i momenti più sconfortanti della sua prigionia, iniziata il 18 marzo 1976 quando le guardie rosse andarono a prenderlo a casa, persino i duri interrogatori rappresentano “l’unico legame che aveva con il mondo”. E’ nel carcere che Van Thuan riscopre l’immagine di Cristo sulla croce, “sconfitto e debole”, e comprende che “nel momento di massima debolezza si può davvero fare qualcosa per gli altri”. Diviene quindi prezioso consolatore delle sofferenze dei suoi compagni di prigionia, senza distinzioni tra innocenti e criminali, seguaci della fede cristiana o buddisti. Porta nel buio del carcere la luce della parola di Dio, per mezzo di una croce ricavata da due pezzetti di legno e nascosta dentro una saponetta. Scrivendo su qualche pezzetto di carta con una matita miracolosamente sfuggita alle angherie dei suoi carcerieri, sull’esempio di San Paolo cerca di entrare nel cuore dei vietnamiti “comunicando speranze, conoscenze e pensieri” e facendo sì che mediante gli scritti la sua voce silenziosa sia ben udibile ai fedeli, che con ansia lo aspettano. La fede e la speranza vissute in modo eroico si accompagnano alle inenarrabili sofferenze patite in carcere: “… I suoi c arcerieri si divertiv ano ad umiliarlo, a confonderlo, a cercare di spezzarne la resistenza. Tenevano la luce spenta per giorni interi, gli razionavano il cibo oppure gliene davano in abbondanza e poi gli impedivano di andare in bagno per costringerlo a sporcare la cella. Non riusciva ad alzarsi, ma sapeva che doveva farlo per mantenere un minimo di efficienza fisica. La stanza era stretta e quei due o tre passi che riusciva a fare, gli costavano fatica e sudore, ma era l’unico modo per non crollare definitivamente. Le guardie sembravano diventare ogni giorno più crudeli, ogni pretesto era buono per maltrattarlo e il sadismo aumentava quando si avvicinava il giorno dell’interrogatorio…” (pag. 18).

Dopo la sua liberazione, avvenuta nel 1988, ed alcuni anni trascorsi nell’amatissimo Vietnam, che reputava “bello sempre”, malgrado le dure guerre e le distruzioni causate dal regime comunista, Van Thuan viene richiamato a Roma, dove aveva compiuto gli studi giovanili e dove lo attendevano la Presidenza del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (1998) e la nomina a Cardinale (2001).

Dopo gli anni del carcere duro e della sofferenza, che egli comunque considera come i più preziosi per l’efficacia del proprio apostolato, assolve i suoi compiti con semplicità, sicuro di dover adempiere ad un disegno divino ben preciso.

Il Cardinale Van Thuan termina il cammino terreno il 16 settembre 2002. Cinque anni dopo viene avviato il suo processo di beatificazione. La vita di quest’uomo in cui l’immagine di Dio è sempre presente, insita nello stesso nome (Thuan significa “in armonia con la volontà di Dio”), vuole essere una testimonianza al mondo che “… sperare si può. Sempre. In qualunque circostanza. A qualunque costo”. 

Fra i mille insegnamenti del suo lascito spirituale ci piace ricordare queste frasi: “C’è una sola cosa che arriverà certamente: la morte. Occorre afferrare le occasioni che si presentano ogni giorno, per compiere azioni ordinarie in modo straordinario…Vivo con perfezione ogni minuto e la vita sarà santa. Il cammino della speranza è fatto di piccoli passi di speranza. La vita di speranza è fatta di brevi minuti di speranza…”. (pag. 42).

Non a caso Benedetto XVI ha voluto ricordare questa figura di sacerdote nella sua ultima enciclica sulla Speranza, la “Spe Salvi”, quale esempio di uomo che anche nei momenti più difficili ha saputo abbandonarsi con fiducia, ma anche con altrettanto coraggio, alla Divina Provvidenza (cfr. “Spe Salvi”, paragrafo 34).

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