IL LAVORO EDITORIALE (Il Corriere del Sud, n°11/2005, pag.13)

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gazebobn.jpg Il fascino di un libro: toccarlo, sentirne il caratteristico odore, sfogliarne le pagine nuove. Per chi ama i libri, non solo per il contenuto, è sempre comunque un’emozione. Ma cosa c’è dietro un libro? C’è il mondo complesso e variegato dell’editoria. L’agile volumetto di Dario Moretti (Editori Laterza, nuova edizione aggiornata 2005 nella collana “Economica Laterza”, pagg.105, euro 6,50) costituisce un ottimo strumento per farci comprendere ciò che si trova alle spalle di ogni singola pubblicazione e che oggi subisce la sfida epocale della realtà virtuale. Resisterà il libro “fisico”, come lo abbiamo imparato a conoscere da bambini, o sarà soppiantato da quello virtuale? L’ipotesi della convivenza pacifica, per Dario Moretti, è comunque la più probabile, in un rapporto non molto distante da quello sussistente fra pittura e fotografia.

Dicevamo della complessità del mondo editoriale: buttare giù un testo (un romanzo, un saggio, uno studio scientifico, una raccolta di fotografie) è soltanto una parte, necessaria ma non sufficiente, per giungere alla composizione del volume, che non è mai un risultato facile: “ Come l’illusione teatrale può fallire miseramente per colpa di un cattivo regista, così la magia del libro svanisce se una delle componenti del lavoro editoriale è scadente.” (pag.9).

Molto cambia in relazione alle dimensioni della casa editrice. Una grande casa lavora con la medesima organizzazione e con la stessa attitudine, nè più nè meno, di una grossa azienda, finalizzata a massimizzare il profitto.

Dispone di conseguenza di una molteplicità di figure professionali altamente specializzate. Innanzitutto l’editore, che non solo deve “seguire il mercato”, con un’attenta strategia di marketing, ma spesso deve saper imporre il proprio prodotto culturale, cercando di prevenire o addirittura di creare la domanda. Questa è per certi versi imponderabile, nel senso che talune opere che al momento della loro pubblicazione non incontrano un successo particolare, poi con il passare del tempo (a volte dei decenni!) sono destin ate a diventare dei best-seller. Sono casi piuttosto rari, in cui lo stesso marketing dimostra tutta la propria impotenza, e solo l’imponderabile gusto del pubblico consegnerà tali prodotti alla celebrità. Nella stragrande maggioranza dei casi, però, le grosse case editrici seguono clichè, ricette precostituite, cui gli autori devono sottomettersi se vogliono essere presi in considerazione: ad ogni genere letterario, per esempio, corrisponde un determinato numero di pagine, che solitamente non può essere oltrepassato.

Dario Moretti nota come generalmente gli editori abbiano una sorta di mal celata ripugnanza nell’utilizzare la parola “marketing” allorchè si tratti di definire la propria attività spiccatamente letteraria. Tant’è: il mercato ha le sue leggi e le sue regole che vanno rispettate anche quando il prodotto non è un cellulare o un frigorifero, ma una probabile opera artistica. E’ così che si è progressivamente passati dall’attenzione per il lettore all’attenzione per il cliente.

Accanto all’editore, dicevamo, lavorano una serie di figure professionali, solitamente assenti nelle piccole case editrici: il direttore editoriale, il redattore, il traduttore, l’addetto all’ufficio stampa e alle pubbliche relazioni, il consulente tecnico del marketing, l’amministrativo, il grafico Tutta questa organizzazione sarebbe impensabile per le piccole case editrici, tanto più che oggi si assiste ad un’evidente polarizzazione fra chi fa editoria di cultura (i piccoli editori che esternalizzano quasi tutti i servizi e che viaggiano frequentemente sulle ali del precariato, soprattutto economico); e chi fa editoria solo per il mercato, e le cui quote di maggioranza sono spesso di proprietà di potenti gruppi finanziari.

Nelle grandi case il direttore editoriale, o editor, è il responsabile della strategia culturale e produttiva dell’azienda: gli autori e gli agenti letterari gli propongono le opere da pubblicare; non mancano tuttavia casi, specialmente nel campo della saggistica politica e di costume, in cui è lo stesso editor che, buon conoscitore delle aspettative del pubblico, commissiona agli autori determinate opere, destinate ad avere mercato. Il direttore editoriale di conseguenza legge moltissimo, sia di ciò che gli viene proposto che di quello che egli stesso commissiona. Oberato dagli altri impegni professionali, come la vasta gamma dei rapporti promozionali, si avvale del giudizio critico di collaboratori esterni (solitamente docenti universitari) nell’avallare o rifiutare una data opera. Stretti collaboratori del direttore editoriale sono i redattori, che curano l’eliminazione dei refusi e delle eventuali ripetizioni, il controllo del corretto uso del congiuntivo, nonchè il coordinamento logico ed armonioso del testo, evitando errori grossolani che pure possono capitare, come per esempio il fatto che un personaggio – morto in un dato capitolo – rispunti fuori senza alcuna giustificazione in un capitolo successivo.

Il redattore di solito non resta tale a vita, e il suo naturale sbocco di carriera è l’editor.

Nel quadro delle nuove tecnologie produttive il grafico organizza e coordina il lavoro con le tipografie, solitamente esterne, avendo quindi perso un po’ della sua originaria connotazione creativa. Anche i correttori di bozze sono figure oramai surclassate dalla correzione informatica; a parte il fatto che le case editrici, soprattutto quelle piccole e medie, pretendono dagli autori un prodotto che sia il più completo possibile, cosa che consente notevoli risparmi di tempo e denaro, spesso a scapito della qualità. Così il ricorso massiccio all’informatica e all’esternalizzazione dei servizi ha comportato, secondo Moretti, che “ negli ultimi quindici anni spesso i prodotti dell’editoria libraria italiana, indipendentemente dal valore dei contenuti, si sono dimostrati pieni di difetti dal punto di vista editoriale: dall’elevato numero di refusi all’impaginazione improvvisata, all’assenza sempre più regolare di apparati un tempo ritenuti indispensabili (per esempio gli indici analitici per la saggistica). E veniamo al mercato. La fetta maggiore della produzione riguarda i libri scolastici; nella restante parte la fa da regina la narrativa, e di questa quella che tira di più è sicuramente la fiction; del ramo no fiction al primo posto, con il 6,8% delle tirature, il pubblico italiano gradisce la saggistica a carattere religioso e teologico; solo dopo viene quella storica.

Roberto Cavallo

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