IL PIERCING DELL’ANIMA (Il Corriere del Sud, n°10/2005, pag.23)

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piercing_tounge.jpg Qualcuno ha scritto: il difficile mestiere di genitore. E’ una convinzione che si fa consapevolezza leggendo il bel libro di Gilberto Gillini e Maria Teresa Zattoni: “Il piercing nell’anima” (Ancora Editrice, 2005, Milano, pagg.176, euro 12,00). I due autori, docenti presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli Studi su Matrimonio e Famiglia dell’Università Lateranense, hanno alle spalle una vasta esperienza di formatori e consulenti familiari, con varie pubblicazioni all’attivo su tematiche di psico-pedagogia attinenti la famiglia. Dalla lettura delle loro opere si comprende come l’espressione “famiglia cellula fondamentale della società” abbia davvero una straor dinaria concretezza di significato. A volte non solo le grandi scelte, ma semplici comportamenti o atteggiamenti, a cui superficialmente gli adulti attribuiscono scarso peso, sono invece destinati ad indirizzare – potenzialmente per sempre – le vite e i destini di bambini e adolescenti, con immense ripercussioni sociali. Il piercing nell’anima è il dolore nascosto dell’adolescente, spesso difficile da interpretare. Un libro allora sicuramente da leggere, ma anche da “imparare” e soprattutto da “fare”. Non troveremo, sia ben chiaro, nessuna ricetta speciale, nessun segreto che venga svelato e capace di risolvere, miracolisticamente, i quotidiani problemi che assillano il rapporto genitori-figli. Ma sicuramente ci imbatteremo in tanti suggerimenti utili, in tante riflessioni nuove che ci porteranno a dire, in tutta onestà: “Già, ma come ho fatto a non pensarci prima..!“. Il testo è strutturato in dodici racconti adolescenziali autobiografici – le storie! – cui segue l’individuazione delle sonde, e cioè delle cose assolutamente da ricordare, tipo pillole di saggezza, e gli sprazzi di dialogo – immag inari – con i ragazzi protagonisti di quelle medeime storie. Così il genitore, e l’adulto in generale, è condotto all’interno della psicologia adolescenziale con la conseguenza di dover spesso mettere in discussione il proprio modo di porsi nei confronti della difficile impresa educativa: come mi sarei comportato in quella situazione? Come avrei agito ? Cosa faccio di solito ? Cosa dico ai miei figli? Le storie, tutte vere e prese come punto di partenza, sono raggruppate in tre grandi aree, che costituiscono altrettante parti in cui il libro è suddiviso: la prima riguarda le pulsioni e le passioni proprie degli adolescenti, quando queste, incontrollate, rischiano di prendere il sopravvento, in modo evidentemente irrazionale; la seconda parte esamina le varie sofferenze che all’adolescente derivano dal “sistema famiglia” quando questo in qualche modo si deteriora ed entra in crisi; la terza parte verte sullo svincolo dell’adolescente dalla famiglia, operazione di per sè delicatissima e in cui, da entrambe le parti, l’errore è sempre dietro l’angolo. Dicevamo dunque che ognuna di queste tre parti contiene delle storie vere, che gli autori nella loro opera di formatori e consulenti hanno raccolto direttamente dalla voce dei loro giovani interlocutori. Ogni storia presenta un’intima sofferenza, e già questa è una prima sonda, cioè un elemento importante da tenere a mente: nell’adolescenza la sofferenza non è mai assente, al contrario Da qui la necessità di comprendere ogni singolo caso, con il suo carico di giovane dolore, per tentare di dare una mano. Dare una mano, appunto, senza cioè pretendere di eliminare la sofferenza dalla vita dei nostri figli, cosa che si rivelerebbe irrealistica e dunque dannosa. Nella gestione del dolore giovanile un sereno ed equilibrato rapporto di coppia fra i genitori è quasi sempre un’eccellente arma di prevenzione contro comportamenti sbagliati: nessun discorso più di un vissuto affetto coniugale è in grado di influire positivamente sulla psicologia dell’adolescente. Rapporto, si è detto, sereno ed equilibrato, e tale può essere soltanto quello in cui si vive di un amore sincero e fedele. Anche la lealtà coniugale in relazione ai figli è fondamentale: può capitare che, senza neanche accorgersene, uno dei genitori rubi all’altro l’affetto del figlio. Ciò avviene, per esempio, quando uno dei due assume atteggiamenti vittimistici: obiettivo inconscio è impietosire la prole in modo che questa parteggi per chi, almeno apparentemente, risulta più debole. Il risultato è che l’altro genitore finisce con l’essere percepito come dispotico e invadente, più di quanto non lo sia in realtà. Altro errore banale, ma purtroppo frequentissimo, è pensare che il dialogo e l’accondiscendenza siano sufficienti ad evitare comportamenti devianti. In realtà non basta sapere “tutto” dei propri figli per stare in pace con la propria coscienza di genitori e di educatori. Il dialogo a volte serve anche per dire, semplicemente, di no. E spesso è proprio quel “no” ad essere percepito dagli adolescenti con una grande carica affettiva, sicuramente maggiore rispetto a quella derivante da qualsiasi accondiscendenza. Un dire no che ovviamente lungi dall’essere fine a se stesso o peggio ancora espressione di arroganza, deve avere l’unico fine di manifestare, con semplicità ma con fermezza, la verità. Dire la verità sulle cose e sul mondo (il sesso, la droga, la morte ), meglio ancora se alla luce del Vangelo, aiuta l’adolescente a ritirarsi dinanzi alla propria coscienza, atteggiamento che gli consentirà di camminare con passo sicuro fra le tempeste della vita. Aiutare a formare la coscienza delle nuove generazioni è la sfida più importante che attende noi adulti e genitori. Roberto Cavallo

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