IL MASCHIO SELVATICO 2 (recensione a cura di David Taglieri)

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indexContinuiamo l’analisi della collana “Psiche e Società” di Cluadio Risè con un saggio scritto dallo stesso autore che è la continuazione di un precedente lavoro di grande impegno e successo (Il Maschio Selvatico): Il Maschio Selvatico 2, la forza vitale dell’istinto maschile (Ed. San Paolo, pp. 280).
Claudio Risè è psicoterapeuta e psicoanalista docente di Scienze Sociali all’Università di Trieste e Gorizia e della Bicocca di Milano; lavora da 30 anni sulla tematica connessa alla crisi del Padre nella società delle tecniche, dei computer, dei soldi e del potere; il filo conduttore è il terrificante allontanamento dalla bussola “naturale e selvatica” che ci sta rendendo degli automi e dei robot.
Il Maschio selvatico è un individuo deciso a recuperare il suo vero sé, caricandosi allo stesso tempo le reali responsabilità derivanti dai suoi propri doveri e dalla sua propria natura.
La storia e i grandi uomini in tal senso sono stati pionieri e maestri del Pensiero forte, quello che non esiste più, un Pensiero fatto di grandi idealità, di miti, di eroi e di religioni e tradizioni consolidate.
Leonardo Da Vinci parlava del salvadego, colui che si salva con le sue forze, la sua mente ed il suo coraggio, il riconoscimento di una sana e solida biologia collegata all’Anima e all’interiorità.
L’uomo tecnologico e tecnologizzato, il 2.0 ha perso il contatto con la natura, retaggio di una industrializzazione spinta che ha allontanato gli individui dai contesti paesaggisitici per immergerli nel mare innaturale della città e dell’inquinamento urbano e mentale.
Non si percepiscono più i richiami della foresta, i profumi dei boschi, la valenza del silenzio e della riflessione, il sapore e lo slancio della lotta, l’uomo si è consegnato alla dittatura delle buone maniere; qui non c’è una critica all’educazione, ma alla sua caricatura, al formalismo che nulla ha a che fare con la genuinità e la purezza di un gesto buono e signorile.
Si può dire e pensare solo ciò che la società laica e assolutista nel politicamente corretto consente; le differenze naturali vanno annientate, perché si teme la diversità, e tutto va omologato al genere neutro.
Corpo e Anima sono due elementi donati dal Creatore per viaggiare sul binario della sintonia, senza impedimenti; in altre parole siamo pieni di distrazioni tecnologiche, pubblicitarie, mediatiche, pronte a causare nel soggetto 2.0 preoccupanti crisi d’identità.
Uno dei divari irrisolti è quello fra cultura e natura: la cultura non sembra più un percorso arricchente che procede intercettando il Passato, filtrandolo e consegnando al presente le sue lezioni migliori per trasferirle in un futuro radioso. Non ci si alimenta più alle sorgenti delle origini storiche, determinando uno stato culturale sinonimo di città globale composta di ordini professionali, burocrazia, moda, soldi e new economy, con risultati devastanti.
Mettiamoci pure che la figura del maschio è continuamente ed in misura reiterata dileggiata dalla pubblicità; da animale sociale a peluche sociale, incapace di imporsi ed esercitare la sua autorità.
Un prodotto sessantotino che il cinema, la tv, ed in generale tutti i media con banalità e comicità insinuanti vogliono sbeffeggiare (stesso meccanismo tramite il quale, con certe canzoni dalla musica confortante, rilassante e serena, si lasciano passare messaggi devastanti).
Risè dice chiaro e tondo che l’uomo esercitando attivamente la vocazione di Padre si salva da solo e con l’aiuto del Padre assoluto, che con la nota strategia già analizzata nel precedente volume, si vorrebbe abbattere.
Il 68 a livello culturale, e la società economica delle mode e del politicamente e convenientemente corretto spingono per l’uccisione di un Padre, bussola etica nella Famiglia (è troppo scomodo qualcuno che si opponga al trionfo di liberismo ed anarchia etica). Gli affari crollerebbero.
Risè parla di un maschio e di un padre buono, ma esigente ed autoritario al momento giusto, proprio per non perdere quel senso di gerarchia e ordine che l’Assoluto ci insegna.
Il primo tassello da recuperare è il rapporto puro, genuino, reale con la Natura, interiore ed esteriore.
Wilderness è quella relazione intensa fra Uomo e natura incontaminata intesa come tutto, dalla sua carta d’identità biologica alla natura incontaminata: la natura precede e permea di sé ogni attività umana ed è irreale e fuori del buon senso ad essa opporsi.
Non c’è conquista scientifica o scientista che tenga: l’uomo deve prenderne consapevolezza per non farsi attanagliare dalla Società che lo vuole mettere in discussione, abolire, cancellare, obbligarlo a chiedere scusa dalla nascita per colpe non sue. Si parla genericamente di maschi violenti, facendo di tutta un’erba un fascio. Condannare chi è bestiale è giusto, ma non tutta la componente maschile è assimilabile ai violenti.
Esiste un ultrafemminismo di ritorno che vorrebbe condannare l’uomo in quanto maschio, dominandolo e soggiogandolo; e uomini peluche che per evitare di incorrere nel politicamente scorretto si adeguano e abbassano la bandiera. Risè chiarisce che questo è un campanello d’allarme nei rapporti fra i due sessi.
Nel bosco l’uomo incontra la donna, “gesto umano-elementare- precedente ad ogni forma culturale” (pag. 19).
C’è tutta una serie di saghe alpine ambientate lì, dato che è presente tutta la simbologia naturale, le vette( Altezza), l’aria (Natura pura) e l’incontro con la donna selvatica.
Si registra l’incontro fra mito e scenario psico-geografico con tutte le varianti storiche; l’occidente oggi vuole cancellare le differenze fisiche culturali-tradizionali e territoriali.
La differenza maschile come detto viene analizzata dalla società femminilizzata in maniera reiterata per ammonirla e stigmatizzarla; la stessa specificità femminile non è valorizzata “…ma su ciò si insiste meno per ottenere l’assenso dell’attuale tendenza omologante”.
La cultura moderna della globalità nichilista porta avanti il bio-potere e la bio-politica, con la paternità e maternità abolite per legge.
Filo sottile che lega questa narrazione saggistica è il nesso fra sogni, teorie psicologiche e miti legati al maschio 2.o che ha nel dna la memoria naturale tramandata per millenni.
Il rapporto con la Madre è sviscerato a dovere senza trascurare la spinta emotiva dell’elemento paterno, rielaborando il rapporto Padre-figlio, Madre-figlio, figlio-genitori.
La scienza sociale attuale e la stessa psicologia della nuova generazione stanno provando con tutti i mezzi a indebolire fino ad avvilire la figura Paterna, sia in senso negativo che positivo, nel bene e nel male purché non se ne parli.
Prima separandola dalla madre ed in seconda istanza emarginandolo dalla società, lo stesso meccanismo della eliminazione di religione e spiritualità dalla sfera umana e sociale: il Padre non esiste più, le regole e le gerarchie sono state spazzate via dai venti del sessantotismo politico e del liberismo economico che riducono tutto a materialità.
Sparisce la ferita del padre, colui che deve iniziare il figlio alla vita, che non è solo benessere e relax, ma sofferenza e sacrificio in vista di risultati.
La vita è cambiamento; dovrebbero restare immutati i valori e l’uomo dovrebbe cambiare in vista del miglioramento; accade invece il contrario.
La vita permeata di modernità ha allontanato l’uomo da sé stesso e dalla Natura, per l’esaltazione della città globale: nell’inquinamento globale il segreto è saper dialogare con la parte buona dell’istinto, quel dna che ci dice chi siamo da dove veniamo e dove stiamo andando.
Dunque saper governare il dominio di sé senza farsi scippare la natura, che dovrebbe essere la base di ogni cultura (l’amore per il bello).
Nella cultura dell’amore e del bello recuperiamo la cultura naturale, che ci permette di capire l’altro attraverso noi stessi (i tedeschi non per nulla linguisticamente parlano di verstehen, entrare nell’altro ed identificarsi in lui, la complessità della traduzione del nostro verbo comprendere).
Il mondo selvatico è un mondo esotico, esterno, ma profondamente simile al nostro stato d’animo, da li troviamo noi stessi, Dio e conosciamo la parte reale della nostra interiorità.

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