IL MITO DI GARIBALDI

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Promuovere acriticamente l’icona garibaldina vuol dire perdere un’occasione di riflessione e di ricerca storica in questo 150° dell’unità d’Italia.

In tali termini si esprime il sottosegretario agli interni Alfredo Mantovano nella sua presentazione del libro di Francesco PappalardoIl mito di Garibal di. Una religione civile per una nuova Italia” ( Sugarco Edizioni, 2010, Milano, pagg. 232). 

Come chiarisce il titolo, il volume ricostruisce le tappe della mitologia garibaldina, partendo dalla straordinaria attenzione alla “comunicazione” e alla costruzione dell’immagine che contraddistinse lo stesso “Eroe dei due mondi”.

Garibaldi, infatti, attribuì grande importanza alla nascente arte fotografica ma anche alla memorialistica e alla letteratura popolare, che nell’’800 costituivano l’ alter ego degli attuali strumenti mass-mediatici. Curava in modo maniacale la propria immagine di romantico avventuriero, così ch e durant e la sua vita – e soprattutto dopo la sua morte – il generale divenne oggetto di un vero e proprio culto civile.

Ma qual era il rapporto di Garibaldi con la religione e il trascendent e ?

Quando nel 1873 il parlamento italiano approvò la nuova legge sulle congregazioni cattoliche, che estendeva a Roma e al Lazio da poco annessi la soppressione di tutti gli ordini religiosi che comportassero la vita comune, Garibaldi approva con entusiasmo.

Crede fermamente nel progresso illimitato dell’umanità, a suo avviso ostacolato da forze maligne che trovano la massima espressione nella Chiesa cattolica, rappresentata dal prete che, come egli scrive, sarebbe “…la più nociva di tutte le creature, perché egli più di nessun altro è un ostacolo al progresso umano, alla fratellanza degli uomini e dei popoli.” (pag. 33).    

Massone e presidente di società spiritiste, per lui tutti i mali dell’Italia derivavano dal cattolicesimo, che per secoli avrebbe abbrutito la creatura umana.

Ancora non pago delle lotte anticlericali risorgimentali e delle repressioni sabaude nei confronti del mondo cattolico italiano, in una lettera del 12 agosto 1879, indirizzata al barone veneziano Ferdinando Swift, campione dell’anticlericalismo e fondatore di una Lega Atea, Garibaldi scriveva: “Per sollevare l’Italia da tanta apatia conviene sostituire il vero alla menzogna; l’Uomo creò dio e non dio l’Uomo.” (pag. 36).

Nel suo testamento, proclamandosi apostolo della libertà e del Vero, Garibaldi chiede la cremazione del proprio cadavere e dichiara di voler rifiutare ogni conforto religioso: “…trovandomi in piena ragione oggi, non voglio accettare in nessun tempo, il ministero odioso, disprezzevole e scellerato d’un prete che considero atroce nemico del genere umano e dell’Italia in particolare.”

E così fu, quando, a Caprera, morì il 2 giugno 1882.

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