IL NOME DEL FIGLIO. UN FILM DI FRANCESCA ARCHIBUGI (recensione a cura di Omar Ebrahime e David Taglieri)

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il_nome_del_figlio(2)Fa piacere passare delle serate non troppo impegnative davanti ad alcuni film che sanno conciliare una sana leggerezza con sprazzi di riflessione e parentesi di comicità, specie quando si ha il coraggio di scalfire i totem del politically correct tanto in voga e di moda nei media; se poi c’è l’intento di mettere in discussione i costumi dei cosiddetti ‘radical-chic’ e gli estremismi di una vita formalmente fuori dagli schemi, ma sostanzialmente omologata, l’esperimento è ancora più attraente. Un plauso quindi a Francesca Archibugi, la regista romana che con il suo Il nome del figlio ha portato sugli schermi dei cinema italiani un’opera teatrale già riuscita in Francia: coinvolgenti e dinamici gli attori, rispettivamente Alessandro Gassman nei panni di un agente immobiliare di simpatie politiche chiaramente volte a destra (Paolo Pontecorvo), che apparentemente si atteggia con modi ignoranti e rozzi ma che a modo suo prende in giro la comitiva di sinistrorsi profondamente convinti della loro superiorità etica e intellettuale; sua moglie Simona (Micaela Ramazzotti) che scrive libri disimpegnati mentre aspetta un bambino (a cui si riferisce il titolo del film) e pubblicizza la sua attività in radio e televisione non nascondendo le sue origini di periferia nella Roma di Casalpalocco; Betta, la  sorella di Paolo, un’insegnante apparentemente calma ma alle prese con varie problematiche interiori (Valeria Golino); suo marito Sandro (Luigi Lo Cascio) che è un perfetto identikit dell’intellettuale militante dell’antiberlusconismo e dell’antifascismo oramai antistorico; Claudio (Rocco Papaleo) musicista che mantiene gli equilibri e sembra rappresentare il’rosso’ democratico e tollerante, pronto a stupire al momento giusto e a stigmatizzare le contraddizioni della ‘neo-religione’ contemporanea del politicamente corretto. Su tutti emerge comunque la figura della citata Ramazzotti, solo apparentemente sempliciotta e in realtà con un gran cuore e una vera passione per la curiosità. Dal nulla infatti inizia a scrivere e a stupire grazie alle sue doti innate di lettura nell’animo umano: il suo personaggio apparentemente naif legge, approfondisce, si interessa di tanti argomenti finendo col mettere in crisi le credenze degli intellettuali supponenti alla moda che frequenta.

Nella pellicola si alternano offese gratuite e battute al vetriolo di Paolo, goffaggini e comicità a non finire di Claudio e non poche stranezze di Betta. Alla fine, però, dopo una traumatica rottura familiare, ritrovati momenti di allegria e di amicizia sembrano mettere tutti d’accordo, con una riconciliazione (e un finale a sorpresa col botto) sul sottofondo andante della colonna sonora di Lucio Dalla. Un film italiano e anzi romano, girato infatti interamente a Roma dalla prima all’ultima scena, che per una volta non fa della volgarità fine a se stessa, o della comicità di bassa lega, il suo obiettivo principale e anzi offre spunti di riflessione sulle numerose contraddizioni dell’epoca contemporanea, caratterizzata dalla crescente importanza di internet e del mondo dei social network in generale a fronte di un aumento invece semplicemente esponenziale delle solitudini, specialmente nelle grandi metropoli occidentali. Da questo punto di vista anzi, con un piccolo elogio – certo a suo modo – della vita di famiglia e delle relazioni interpersonali nella comunità familiare, il lavoro della Archibugi si pone in decisa controtendenza rispetto alla mentalità corrente, anche perché tutta la trama gira alla fine intorno a una mamma in attesa e a un bambino che deve nascere, di cui i vari personaggi, vuoi per un motivo, vuoi per un altro, si preoccupano sinceramente portando ognuno il suo contributo. Visti i tempi che corrono, una piccola inattesa sorpresa, senza troppe pretese,per la cinematografia solitamente piuttosto conformista e autoreferenziale di casa nostra.

Se poi sia da considerarsi anche come un parziale ripensamento autocritico della lunga carriera della Archibugi (caratterizzata per lo più da temi di marca femminista e rivoluzionaria, si pensi solo ai messaggi politicamente quasi eversivi di film come L’unico Paese al mondo (1994)) lo si vedrà col tempo…

 

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