ISRAELE, HAMAS E LE RADICI DELL’OCCIDENTE (di Marco Invernizzi)

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C’è una domanda che mi sono posto in queste ultime settimane e in particolare nel Giorno della memoria: perché Israele è stato posto sul banco degli imputati in così poco tempo dopo l’atto terroristico di Hamas del 7 ottobre scorso?

E perché così facilmente viene dimenticato il diritto all’esistenza e alla sicurezza di Israele e la giusta attenzione ai diritti del popolo palestinese si trasforma in un rifiuto contro gli stessi diritti del popolo ebreo, spesso passando da una legittima critica alla politica dello Stato di Israele a un odio antisemita? E ancora: perché la Cina comunista e la Russia nazionalista, insieme a tutti gli Stati anti-occidentali, sembrano uniti in una posizione politica ostile a Israele dopo il 7 ottobre?

Insomma, potrei continuare, ma mi sembra evidente che nei confronti di Israele ci sia o un atteggiamento di razzismo ideologico di antica data, oppure un rifiuto totale perché Israele (che non è esente da colpe e difetti, certamente) viene identificato come un baluardo della civiltà occidentale in mezzo al mondo islamico, e questa, forse, è la vera colpa che gli attira tanto odio.

Ora, il razzismo è una forma mentis fondata sull’odio contro il diverso, contro l’«altro» che, semplicemente, sarebbe bene non esistesse. Si tratta di una ideologia moderna, che nasce durante il periodo illuminista, quando la società si scristianizza e, così, lascia spazio a ideologie diametralmente contrarie all’insegnamento di Cristo, che portò un cambiamento radicale nella mentalità del suo tempo proprio affermando la stessa dignità di ogni uomo, qualunque fosse la sua origine etnica o il suo status sociale.

Ma non si può essere contro il razzismo a intermittenza: se è razzista il nazionalsocialista che odia gli ebrei, lo è anche il terrorista di Hamas che si vanta, il 7 ottobre durante l’attacco, di avere ucciso «dieci ebrei» (notate bene: dieci ebrei, non dieci israeliani).

Ma lo è anche chi, senza sfociare nel terrorismo, cerca di negare di fatto a Israele il diritto di difendersi, portandolo davanti al Tribunale dell’Aja con l’accusa di “tentato genocidio” nei confronti del popolo palestinese. Non voglio negare l’enorme questione morale che esiste sul tema di una reazione militare all’interno della Striscia di Gaza che sia proporzionata, ma non posso non constatare come dal 7 ottobre l’odio contro Israele sia cresciuto in modo esponenziale e ci si sia già dimenticati di quanto accaduto in quel tragico giorno.

Allora questa impressione, suffragata da tanti fatti, mi fa pensare che l’odio che sta alla base del razzismo si stia dirigendo sempre di più verso Israele, che con la sua sola esistenza rappresenta in Medio Oriente un’alternativa all’islamismo più o meno radicale e ricorda al mondo come sia un valore che una popolazione possa esprimersi politicamente scegliendo il proprio governo, che insomma la libertà, o meglio le libertà ancora garantite nel sistema politico occidentale sono un principio da difendere.

Dai campus americani, dove si organizzano manifestazioni pro-Palestina, alle piazze italiane, dove manifestano i Giovani palestinesi, l’estrema sinistra dei centri sociali e gli esponenti di Forza Nuova e di Casa Pound, fino alla Corte penale internazionale che processa Israele per “tentato genocidio” alla vigilia dell’anniversario del genocidio di sei milioni di ebrei, sembra crescere in Occidente un disprezzo di se stessi, come un odio rivoluzionario verso le proprie radici.

Credo di avere ripetuto fino alla nausea che l’Occidente di oggi è un pallido ricordo della civiltà nata attorno ad Atene, Roma e Gerusalemme, ma questo non è un buon motivo per preferirle la barbarie dei sistemi totalitari, o quella di chi uccide o mette in galera i propri nemici. Abbiamo già attraversato questa stagione drammatica e abbiamo saputo sconfiggere le tentazioni terzaforziste durante la Guerra fredda. Oggi forse la storia si sta ripetendo, con attori non troppo diversi da quelli di allora.