LA CHIESA SPIEGATA A CHI NON CREDE (di Omar Ebrahime)

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Copertina_WeigelG. Weigel, teologo statunitense e stretto collaboratore di Papa Giovanni Paolo II di cui ha curato la biografia più completa attualmente disponibile sul mercato (Testimone della speranza, Mondadori 2005, 2 voll.), è uno degli osservatori più attenti del rapporto tra Chiesa e mondo contemporaneo e si segnala ormai da anni per le sue riflessioni puntuali e mai scontate sui vari ‘temi caldi’ che l’agenda massmediatica internazionale abilmente produce (scrive periodicamente per vari quotidiani statunitensi, nonché per il prestigioso periodico che raccoglie il meglio della cultura cattolica nordamericana, First Things).

Una delle sue ultime fatiche è un saggio di carattere apologetico: La Chiesa spiegata a chi non crede (e a chi desidera capire di più per credere meglio) (Rubbettino, Soveria Mannelli, 2009, pp. 175).

Il libro affronta le questioni decisive del conflitto secolare tra Chiesa e ‘mondo’, offrendo una prospettiva ragionevolmente argomentata che sostanzia le verità di sempre del Magistero con un brillante e quanto mai ampio uso dell’ars docendi: ne risulta una trattazione agevole che in 10 brevi capitoli, ognuno dei quali principia con una domanda provocatoria, sfida il lettore secondo le migliori regole della disputa retorica d’annata. Un liberante realismo filosofico e prospettico tratteggia l’intero quadro sicchè alla fine dell’esposizione la capacità di ragionare stimolata nell’interlocutore ne esce sinteticamente esaltata, ad maiorem Dei gloriam.     

Il primo capitolo (“Gesù è l’unico salvatore?”, pp. 5-20) affronta senza timore né reticenze le insidiose sabbie della dittatura più conformista degli ultimi anni: quella del relativismo etico-culturale, che permea in modo sempre più opprimente aspetti tutt’altro che marginali del vivere sociale (dalle leggi, ai costumi, al linguaggio). L’inganno di questa seducente menzogna è la pietra d’inciampo stessa della modernità, intesa come movimento di pensiero che inizia a guadagnare consensi insospettabili con la ‘rivoluzione’ cartesiana: si tratta dell’autodeterminazione, “il peccato originale, la perenne tentazione dell’uomo che sedusse Adamo ed Eva al principio della storia umana< /em>” (pag. 10). Questo dato fondante della Rivelazione, talvolta trattato sprezzantemente come una favoletta dall’opinione pubblica corrente, comunica in realtà delle coordinate ermeneutiche universali dal momento che, per dire il minimo, “che nessuno di noi sia causa della propria esistenza non è un semplice accidente della biologia; è un fatto empirico” (pag. 11). Se solo si avesse la pazienza di riflettere su questo fatto, poiché, è noto, contra factum non valet argomentum, si potrebbe forse arrivare ad una verità profonda sulla condizione umana. Che, se non nasce dal nulla, quantomeno reca in sé le tracce di un messaggio. Questo messaggio, peraltro, storicamente è diventato persuasivo con la Fede cristiana non solo in virtù della sua dottrina ma perché, ad esempio, la diffusione del Vangelo dal punto di vista pratico “diede la possibilità a molti, specie alle donne, di vivere una vita migliore, più felice e più tollerante” (pag. 13). Grazie al matrimonio e al rifiuto dell’infanticidio (praticato di solito contro le bambine) il Cristianesimo donò una dignità prima di allora sconosciuta alle donne, ai bambini e, ancora, ai più reietti ed emarginati delle società primitive spezzando la chiusura e l’intolleranza tipici dell’antichità pagana. Tuttavia, il Cristianesimo era in grado di compiere un simile passo solo in nome di una verità più alta: l’ Incarnazione del Figlio di Dio. Solo l’entrata del Verbo nella storia poteva permettere un progresso simile, inimmaginabile per un mondo letteralmente schiavo del destino e in balìa di tanto oscure quanto lontane divinità superiori. Le reti di previdenza sociale e di cura della salute che nacquero da subito all’interno delle terre cristiane sono la dimostrazione storicamente più evidente e convincente della verità del Vangelo. Certamente gli studiosi più ostili potranno controbattere che un simile argomento da solo non è sufficiente o anche che non li interessa, ma non potranno negare che esso sia vero. Né che le implicazioni storiche di questo processo, soprattutto se osservate in un’ottica comparatistica con realtà che non hanno incontrato il Vangelo, siano straordinariamente  feconde.

La tesi di fondo che l’Autore propone, illuminata nel secondo capitolo (“La fede in Dio ci sminuisce?”, pp. 20-33) è che le idee producono delle conseguenze o, detto in modo meno astratto, che la trasmissione della Fede incide in modo tangibile sugli aspetti concreti, civili e collettivi, delle singole società. Così come la sua rimozione pubblica. Se la storia recente insegna qualcosa infatti, è che l’umanesimo esclusivo intramondano (sia esso comunista, nazista o utilitarista) si dimostra inevitabilmente “un umanesimo disumano” (pag. 23). Il XX secolo è stato senz’altro il secolo in cui maggiormente hanno dominato le ideologie politiche e in cui, parimenti, il senso del trascendente ha visto un declino a dir poco spaventoso. La domanda a cui gli ideologi scettici devono quindi rispondere è se questo abbia qualcosa a che fare con la storia reale, anzi realissima del XX secolo che ha visto, in ordine sparso: due guerre mondiali e la bomba atomica, la ‘guerra fredda’, centinaia di campi di concentramento, deportazioni coatte, pulizie etniche, crimini efferati, luoghi di tortura inimmaginabili ‘ideati’ da governi democraticamente eletti, svariati genocidi. La cacciata di Dio dalla vita pubblica ha qualcosa a che fare con tutto questo ?

La disputa entra poi nel vivo nel terzo capitolo (“Chiesa liberale o Chiesa conservatrice?”, pp. 35-50) in cui l’Autore incontra il luogo del senso, la Chiesa appunto, sottolineando il significato della struttura gerarchica voluta da Cristo e compiendo un affascinante excursus artistico in cui si arriva a sfiorare sensibilmente la vertigine concreta del Mistero. Come la Tradizione ha sempre creduto e come dimostrarono gli ultimi dati archeologici seguiti alle lunghe operazioni di scavo (iniziate durante il Pontificato di Pio XII (1939-1958)), sotto la basilica di San Pietro e precisamente proprio in corrispondenza del baldacchino bronzeo del Bernini che circuisce l’altare papale è conservata la tomba del principe degli apostoli: San Pietro. E, come se non bastasse, la grande cupola che accoglie gli sguardi oranti dei fedeli, ma anche dei visitatori più curiosi, reca la scritta: “Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam et tibi dabo claves regni caelorum” (“Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e a te darò le chiavi del regno dei cieli”, Mt 16, 18-19). Ora, tutto questo è veramente casuale? E se non lo è, che cosa dedurne ? La visita all’antica necropoli cristiana che giace sotto il colonnato più famoso del mondo potrebbe quindi diventare, perfino per il turista più annoiato, l’incredibile conferma al mistero che l’umanità contempla con stupore da oltre duemila anni. E’ tutto vero. La Chiesa non è fondata su un mito, né su una favola. Non solo, ma sopra le ossa reali del primo vicario di Cristo, scelto personalmente dal Figlio di Dio regna oggi l’ultimo vicario di Cristo in una catena di successione senza soluzione di continuità. “Giù, negli scavi, ognuno può confrontarsi con linnegabile realtà della Chiesa. E viene posto di fronte alla necessità di prendere una decisione” (pag. 48).

Il luogo della Chiesa par excellence dove l’ordinario viene ‘reso’ straordinario è certamente la Santa Messa, il Divin Sacrificio del Redentore che si perpetua quotidianamente per la salvezza delle anime del mondo intero. E’ un fatto apparentemente noto, forse talmente noto che dopo 2000 anni di Cristianesimo neanche più ci si fa caso. La liturgia è quindi il tema specifico del quarto capitolo (“Dove possiamo trovare il ‘mondo reale’?”, pp. 51-68). A tal proposito, l’Autore osserva che oggi, specialmente negli organi di comunicazione sociale non specializzati (e talvolta persino in questi ultimi) la quaestio liturgica è presentata in termini simil-politici, quasi come una lotta all’ultimo grido tra le correnti più fantasiose e variegate, in cui un giorno vince uno e un giorno vince l’altro. Questo atteggiamento, per dire il meno deviante, se assunto dai fedeli e dai consacrati può diventare però veramente drammatico per la Chiesa perché tradisce il sintomo fin troppo evidente che non si pensa più al Divino e al Mistero della Salvezza ma a qualcos’altro, di molto più profano. La premessa corretta per introdurre l’attuale confronto delle posizioni in materia, purché depurate dalle ideologie, fondate sul magistero petrino e fedeli alla Tradizione cattolica, sarebbe quindi quella di tornare all’origine dell’oggetto di studio che è essenzialmente un fatto teologico. Osservate da questo punto di vista le discussioni saranno costruttive se si condividerà il punto di partenza: “la liturgia è, nel suo significato più profondo, opera di Dio, non nostra” (pag. 59). L’Autore rimanda qui al fondamentale studio del regnante Pontefice (Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo) che scritto anni or sono resta un’istantanea drammatica del crollo dell’ars celebrandi negli ultimi quarant’anni. La Chiesa è però anzitutto tale quando offre al Padre il sacrificio del Figlio e in nessun altro ‘luogo’ se non quello della Santa Messa: è lì che i Santi fondatori e riformatori dei grandi Ordini religiosi sono diventati gli ‘strumenti’ prediletti dell’azione di Dio nella storia. In ginocchio in adorante estasi dinanzi al Cielo che scende sulla terra S. Domenico, S. Francesco, S. Teresa, S. Ignazio hanno attinto la forza e lo spirito per conquistare le genti al Vangelo e trasmettere il linguaggio universale della santità. Essi erano tutti consapevoli che non sono gli uomini a fare la Chiesa ma il Fondatore stesso, secondo vie a noi misteriose e spesso incomprensibili. Compito dell’uomo è semmai, quello di lasciarsi plasmare dalla Grazia perché Dio possa entrarvi totalmente ed operare le meraviglie che desidera. I Santi, da parte loro, si sono sentiti sempre indegni di fronte al Divin Sacrificio.       

Il successivo capitolo (“Come dovremmo vivere?”, pp. 69-86) si rivela invece una salutare riflessione sulla vita morale del cattolico e le sue premesse evangeliche, derivate dalla legge morale naturale. La legge per il cattolico non è mai un fardello che opprime ma una ‘legge che libera’ poiché la stessa Parola di Dio insegna chiaramente che «la Verità vi farà liberi» (Gv 8,32) e solo un mondo apostata, quale appare in gran parte il nostro al momento presente, poteva contestare una simile evidenza, alimento quotidiano per schiere di Santi, religiosi e laici in tutte le epoche. La dimensione costitutivamente sociale del valore della verità, nella sua interezza, viene poi approfondita in dettaglio più avanti (“Che ne sarà del resto del mondo?”, pp. 123-143). Se il relativismo fondamentalista e nichilista dal pensiero debole contemporaneo afferma infatti che non è possibile arrivare a ri-conoscere delle verità comuni, preesistenti alla formazione della comunità politica nel divenire storico e inattaccabili dalle leggi delle maggioranze del momento, allora la crisi di senso che ne deriverà sarà inevitabilmente crisi che coinvolgerà per estensione l’intero corpo sociale nei suoi equilibri più profondi, con effetti difficili da prevedere a lungo termine. Come dimostra peraltro fin troppo bene la storia recente, lungi dall’essere più tollerante, come reclamano alcuni, “un mondo senza verità è semplicemente un mondo di potere, nel quale la verità del più forte viene imposta al più debole” (pag. 124).

In mezzo e in conclusione, l’Autore pone il dramma dell’esistenza umana come combattimento spirituale. L’orizzonte che forse più è stato smarrito dal popolo di Dio in questi anni per il teologo è proprio questo: la consapevolezza della vita terrena come dramma in divenire da cui si decide la salvezza o la dannazione eterna. La lotta, la tensione drammatica della vita che dovrebbe caratterizzare la vita del cristiano e il suo impegno costante contro i nemici di sempre (la carne, il demonio, il mondo) per vari fattori negli anni del post-Concilio e poi della fine delle ideologie è venuta incredibilmente meno, scomparendo in modo sensibile dalla predicazione e dalla catechesi ordinaria. Quasi che il diavolo sia in andato in letargo negli anni Settanta o sia crollato pure lui insieme al Muro di Berlino nel 1989. Di fatto, magari inconsapevolmente, da più parti per un certo periodo è stata accreditata l’idea che non serve poi sforzarsi più di tanto per conquistare il Paradiso e che, comunque, alla fine ci si salva tutti. Questa idea non è solo evidentemente pericolosa dal punto di vista pastorale per la salvezza delle anime, è proprio stupida in sé. E, come disse il cardinal Joseph Ratzinger in una celebre apologia della ragione, anzitutto teologica: “Unidea stupida non può essere unidea  cattolica”.                    

 

                   

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