LA LOTTA DEI GESUITI: PER GLI INDIOS CONTRO LA SCHIAVITU’ (Corriere del Giorno, 12 aprile 2008, pag. 7)

2014

350px-ruinas-saomiguel13.jpg Numerose personalità della politica, della cultura e dell’informazione, ad intervalli cadenzati, reclamano scuse e autocritica da parte della Chiesa cattolica per quello che genericamente viene definito il “genocidio degli Indios”.

Forse dimenticano che la Chiesa, pur con le inevitabili ombre, si prodigò per tutelare la dignità indigena, e che nella zona messicana, in quella andina e in molti territori brasiliani, quasi il 90 per cento della popolazione o discende direttamente dagli antichi abitanti o è il frutto di incroci tra in digeni e nuovi arrivati. Nessun genocidio, dunque.

Così che Giovanni Paolo II, traendo un bilancio della scoperta e dell’evangelizzazione del Nuovo Mondo a 500 anni di distanza, poteva con tranquillità affermare che vi sono state luci ed ombre, più luci che ombre, se pensiamo ai frutti duraturi di fede e di vita cristiana.”

(Discorso di Giovanni Paolo II ai partecipanti alla II Assemblea Plenaria della Pontificia Commissione per l’America latina, venerdì 14 giugno 1991).mission3.jpg

Supporta questa tesi, con rigore storiografico e con chiara evidenza espositiva, il recente libro di Marina Massimi, già autrice di numerosi volumi sulla cultura e sulla società brasiliana nel periodo coloniale, e docente presso il Dipartimento di Psicologia ed Educazione della Facoltà di Filosofia, Scienze e Lettere dell’Università di San Paolo, in Brasile.

Il libro in questione (“Il potere e la croce. Colonizzazione e riduzioni dei gesuiti in Brasile”, San Paolo, 2008, pagg. 209, euro 18,00), è un’opera che si inserisce nel sempre acceso dibattito culturale sulla conquista dell’America Latina e sui suoi effetti sulle locali popolazioni Indios.

Il bel lavoro di Marina Massimi si fonda soprattutto sull’epistolario dei numerosi missionari gesuiti, che a partire dalla seconda metà del XVI secolo viaggiarono ed esplorarono gli immensi territori brasiliani. Le lettere narrano di grandi consolazioni derivanti dall’incontro, di solito amichevole, con i nativi, senza però nasconderne le difficoltà legate ad “… alcuni costumi sociali profondamente radicati, come quello della poligamia e dell’antropofagia rituale.” (pag. 49). Momenti di esaltazione si alternavano quindi a quelli di sconforto e di timore, specie nei confronti di tribù particolarmente sanguinarie; non mancarono atti di eroismo e di martirio, ma vi fu anche chi invocò la protezione delle armi portoghesi.

La lingua con cui i missionari si esprimevano erano naturalmente il portoghese, lo spagnolo e il latino, ma ben presto comunicarono nei vari idiomi locali, che i gesuiti non solo appresero, a costo di enormi difficoltà, ma pure codificarono. Aveva così inizio anche in Brasile quell’operazione di inculturazione cristiana, di cui la Compagnia di Gesù sarà maestra, praticata dal Nuovo Mondo sino all’Africa e all’Estremo Oriente.

La predicazione dei missionari si rivolgeva tanto agli indigeni che ai rari coloni portoghesi. Ben presto, però, si venne a creare un incolmabile strappo fra i coloni, avidi di facili 4seohunt.com/www/www.recensioni-storia.it. guadagni, e i predicatori della Compagnia di Gesù, gelosi custodi della dignità degli Indios, affidati alla loro cura pastorale dallo stesso Re del Portogallo. D’altronde, almeno inizialmente, i sovrani lusitani erano animati dal sincero desiderio di evangelizzare le Indie, tanto orientali che occidentali. Tale aspirazione a metà del XVI secolo aveva incontrato lo spirito missionario della neonata Compagnia di Gesù, frutto delle meditazioni di S. Ignazio di Loyola e di quella straordinaria scuola di evangelizzazione rappresentata dai suoi esercizi spirituali.

Principale oggetto di scontro fra gesuiti e coloni divenne fin da subito l’immorale piaga della schiavitù, praticata nei confronti di indios e di africani, anche se ufficialmente proibita dalla Chiesa fin dal 1537 (Papa Paolo III con la bolla pontificia Sublimis Deus dichiarava che gli Amerindi sono esseri umani che hanno diritto alla libertà e alla proprietà, condannando decisamente la pratica della schiavitù).

La Corona lusitana, come già quella ispanica, si poneva sulla stessa lunghezza d’onda, sia pure evidenziando talune eccezioni relativamente ai prigionieri di guerra.

La legge portoghese del 20 marzo 1570, infatti, aveva decretato la piena libertà degli Indios, ad eccezione dei casi in cui questi fossero caduti prigionieri nelle mani di Portoghesi impegnati a combattere per una “guerra giusta” (praticamente era il caso in cui l’iniziativa ostile fosse partita dagli stessi Indios). Tale eccezione di fatto consentiva il facile aggiramento dello spirito della legge. Fu per questo motivo che, sotto la spinta dei gesuiti, furono successivamente emanate leggi sempre più restrittive, che miravano a delegittimare totalmente la schiavitù. Si giunse così ad un editto del 1609 che la proibiva in ogni circostanza, definendola contraria al diritto naturale: anche se gli Indios avessero rifiutato la religione cristiana per seguire i propri riti religiosi, dovevano comunque essere considerati e trattati come persone libere. In questo periodo difficile, ma tutto sommato di relativa collaborazione con la Corona, i gesuiti diedero vita all’esperienza delle reducciones, esperienza resa nota al grande pubblico nel 1986 dal film “Mission”. Le reducciones erano delle aree più o meno vaste, poste al confine fra Brasile, Argentina e Paraguay, dove i gesuiti costituirono dei villaggi di impronta medievale, da essi diretti: una chiesa centrale con la piazza, e tutt’intorno le case degli Indios, ognuna con il suo orto. Poi c’erano le botteghe artigiane, che non di rado si trasformavano in vere e proprie manifatture, i cui prodotti nel XVII secolo seppero farsi apprezzare anche in Europa.

Gli Indios, che partecipavano al governo dei villaggi disponendo di ampie autonomie, finché rimasero nelle reducciones, sotto la protezione dei gesuiti, furono tute lati e considerati vassalli diretti dei rispettivi sovrani, tanto spagnoli che portoghesi, senza interferenze di coloni e governatori.

Ma la violenta ribellione dei coloni alle leggi abolizioniste costrinse la Corona portoghese a ripristinare, nel 1611, la precedente eccezione della “guerra giusta”, cavillo che ormai veniva sfruttato con relativa facilità per ridurre in schiavitù i nativi brasiliani.

I gesuiti non si diedero mai per vinti, e continuarono a protestare e a battersi per l’ incolumità e la libertà degli Indios: “… da ambedue le parti, gesuiti e coloni esercitavano pressioni sulla corona portoghese: gli uni, perché esigevano una legislazione chiara e definitiva circa la proibizione della schiavitù; gli altri, per abolire i villaggi missionari e aprire condizioni di legittimazione dello stato di schiavitù ottenuto in conseguenza di episodi bellici.” (pag.160).

La lotta si protrasse con alterne vicende per tutto il XVII secolo, ma l’azione proditoria dei coloni, sostenuta dai governatori locali, risultò spesso efficace, come quando ottennero dal Re del Portogallo l’espulsione di tutti i gesuiti dalla provincia brasiliana di Maranhao (1684) o l’arresto dei più famosi predicatori.

Le cose precipitarono ancora nel secolo successivo, allorché con il definitivo affermarsi dell’assolutismo regio e con l’incipiente illuminismo, i monarchi portoghesi, al pari dei loro colleghi europei, sancirono la scissione dell’antico legame con la dottrina sociale cristiana. Si sentirono quindi sciolti da qualsiasi dovere che non derivasse dalla loro stessa autorità.

Le conseguenze in Brasile, commenta Marina Massimi, furono tragiche: le riduzioni furono distrutte, gli indigeni dispersi o schiavizzati, la Compagnia di Gesù soppressa: Le grandi potenze del secolo dei lumi non potevano tollerare questa eccezione. Un fatto emblematico: l’illuminista Voltaire aveva contribuito a finanziare uno dei vascelli della flotta spagnola impiegata nella distruzione. L’assolutismo – culturale e politico – non tollerava nei suoi domini l’esistenza di un soggetto sociale autonomo e costruttivo di una nuova forma di res pubblica” (pag.181). Fu anche grazie a ciò che il regime schiavista si protrasse in Brasile sino al 1888…

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