Eugenio Capozzi, docente universitario, politologo e scrittore, per le Edizioni Historica Giubilei Regnani pubblica il suo nuovo libro: “L’autodistruzione dell’Occidente. Dall’umanesimo cristiano alla dittatura del relativismo”.
L’Autore evidenzia come il “nuovo umanesimo“, invocato sempre più spesso da molti esponenti delle élites politiche e culturali occidentali, tradisce in realtà non la ripresa ma piuttosto il rifiuto di quella concezione dell’uomo come animale razionale e libero che sta alla base dei diritti individuali, della democrazia, e che è stata costruita nell’incontro tra cultura greca, romana, ebraica, celtico-germanica e soprattutto attraverso la novità cristiana.
Nella storia della nostra civiltà, infatti, esiste un solo umanesimo, che ne incarna il baricentro culturale: l’idea ebraica e poi cristiana dell’uomo come essere creato da Dio a propria immagine e somiglianza. Un’idea alla luce della quale ogni individuo umano rappresenta un essere unico, irripetibile, alla cui salvaguardia ogni istituzione, norma, potere, forza umana devono essere finalizzate, e dinanzi al quale devono arrestarsi.
Ma il culto della potenza, lo scientismo e le ideologie hanno corroso nel tempo l’umanesimo occidentale fino a dissolverlo in un relativismo radicale, transumano e postumano. Un relativismo che lascia il mondo globalizzato privo di un tessuto etico-politico comune.
La crescente influenza di questo atteggiamento negativo sulle élites intellettuali, politiche, economiche occidentali – fino alla sua definizione come una vera e propria ideologia egemone – è quella che l’allora cardinale Joseph Ratzinger, in procinto di divenire papa Benedetto XVI, nel 2005 chiamò la “dittatura del relativismo”: una dottrina “che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie…”.
Lo stesso Ratzinger, in una riflessione dell’anno precedente, aveva identificato il punto cruciale in questa svolta culturale consistente nell’abbandono del nucleo fondante della propria civiltà: “C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sì in maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua storia vede ormai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro.”.
Eppure, verrebbe da dire, di cose grandi e pure l’Occidente cristiano nel corso della sua storia ne ha fatte davvero a migliaia…
Non c’è dubbio che tale atteggiamento autodistruttivo può essere combattuto soltanto con una consapevole riconnessione della civiltà occidentale alle proprie radici.