LE ARTI IN RUSSIA SOTTO STALIN (Il Corriere del Sud)

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stalin.jpg Isaiah Berlin (1909-1997), filosofo politico inglese, ma nato a Riga in Lettonia, presidente della British Accademy dal 1974 al 1978, è stato autore di numerosi saggi.
Nel 1920 appena undicenne lasciò il suo Paese per farvi ritorno solo nel 1945 in missione quale funzionario del Foreign Office.
A conclusione di quel viaggio in Russia, Berlin stese dei resoconti ad uso interno. Ma 30 anni dopo li rielaborò sotto forma di saggi: “Una visita a Leningrado” e “Le arti in Russia sotto Stalin”.
Oggi entrambi gli scritti sono pubblicati in Italia dalla Casa Editrice Archinto con il titolo “Le arti in Russia sotto Stalin” (Pagg. 80, Lire 20.000). Nella prima parte del libro, “Una visita a Leningrado”, Berlin racconta del suo viaggio a Mosca e a Leningrado; coglie la maggiore vivacità intellettuale di Leningrado che, sebbene spossata dal lungo assedio tedesco, nel novembre 1945, a guerra mondiale ormai conclusa, fruiva di margini di controllo meno asfissianti rispetto a quelli imposti dai sovietici a Mosca.

L’assedio di Leningrado aveva segnato fisicamente la vita culturale della città: la gran parte degli artisti vi trovò la morte ” dal momento che, trattandosi di civili privi di utilità, praticamente erano stati condannati a morte dalle disposizioni relative alle priorità sul cibo e sul combustibile“.
Qualsiasi espressione culturale ed artistica si realizza esclusivamente nell’ambito dell’ortodossia marx-leninista, da cui è impensabile sfuggire: la censura è non solo un elemento ostativo alla libera espressione delle arti, ma un attivo motore di propaganda politica. Solo chi svolge questo compito “attivo” di propagandista può godere di una certa tranquillità e anche di un discreto benessere economico.
Gli organi burocratici preposti al controllo (in ordine crescente: l’Unione degli Scrittori, il Commissario “ad hoc”, il Comitato Centrale del Partito Comunista) decidono quali libri esteri far circolare in U.R.S.S. e quali scrittori occidentali – filosofi materialisti in genere e i critici del sistema “borghese” europeo ed americano – far conoscere ed invitare a Mosca.
In tale asfissiante appiattimento scrittori e poeti per poter esprimersi devono escogitare delle “vie di fuga” completamente innocue: le traduzioni letterarie – tutte di ottimo livello -, le operette folkloristiche regionali, le filastrocche, i racconti per bambini – come si legge nella seconda parte del libro – costituiscono una delle rare note di freschezza che riescono ad allietare il panorama artistico sovietico. L’alternativa, per chi voglia esprimere la propria vivacità intellettuale, è rifugiarsi nelle discipline scientifiche e tecnologiche, meno legate a quella “merce pericolosa” che sono le idee.


Berlin disegna un diagramma storico dell’arte in Russia nel ‘900, dividendola in tre stagioni:
1900-1928: tempo di disordine e di agitazione per l’intelligencija, ancora tentata dall’imitazione occidentale (soprattutto tedesca e francese);
1928-1937: decennio in cui si forma la “nuova ortodossia” e durante il quale il dibattito fra le diverse anime del partito comunista si mantiene vivace: l’alternativa è fra una forma di arte e di letteratura ispirata all’anarco-comunismo, più romantica e vicina alle posizioni trockijste, e il ferreo monolitismo staliniano;
1937-1945: periodo in cui lo stalinismo trionfante dirige tutte le espressioni interne al socialismo verso gli obiettivi politici ritenuti di volta in volta preminenti.

Dapprima vi fu la stagione dei processi e delle grandi purghe del 1937-38, in cui scomparvero decine di migliaia di intellettuali, tanto che lo stesso regime fu costretto ad arrestarsi per non estinguere del tutto quella classe.
Poi con la guerra Stalin tollerò, e per certi aspetti promosse, una letteratura epica russa, improntata all’ esaltazione della Patria e dei suoi eroi, comprese alcune figure del passato pre-rivoluzionario.

I temi più propri del marx-leninismo furono per il momento accantonati: gli artisti godettero di un certo margine di libertà e le loro opere incontrarono il successo dei lettori, e soprattutto di quegli specialissimi lettori che erano i soldati al fronte: era esattamente quanto Stalin voleva.

E’ il tempo di Pasternak (il futuro autore de “Il dottor Zivago”) e della poetessa Achmatova. Ma con la fine della guerra gli artisti e i letterati che si erano distinti nell’entusiasmare i soldati al fronte con i temi patriottici vennero di colpo accusati di regionalismo e di scarsa purezza ideologica.

Chi non viene eliminato è costretto a riconvertirsi in fretta.
Nel novembre del 1945, periodo in cui Berlin compie il suo viaggio in U.R.S.S., lo stato delle arti è drammaticamente livellato verso il basso: anche nel balletto, nell’opera, nella drammaturgia, nella pittura si fa apprezzare solo quanto, scampato alla censura, conserva un qualche legame con la ricca tradizione artistica russa dell’ Ottocento o con il classicismo.

Nonostante ciò Berlin sottolinea, non senza stupore, l’ancor vivo desiderio di cultura che riscontra nel popolo russo.
Berlin, nel suo pragmatico stile anglo-sassone, ritiene di cogliere una maggiore vivacità in quelle tendenze artistiche sovietiche, presenti fino al 1937, che seguirono l’altro filone comunista, quello di Bucharin e di Trockij, poi annientato da Stalin.


Si tratta comunque di una vivacità rivoluzionaria – tesa all’incitamento alla distruzione del mondo borghese e occidentale – che lo stesso Autore riconosce essere intrisa di ” pretenziosità, artificiosità, rozzezza, esibizionismo, infantilismo e stupidità “.
Del tutto non condivisibile, infine, l’affermazione, gettata lì per lì nel bel mezzo del racconto, secondo cui la violenza e l’onnipresenza del regime sarebbero state pari, nella storia, solo a quelle praticate dall’Inquisizione spagnola e dalla Controriforma.

Mentre la Controriforma segnò un momento di grande rinnovamento spirituale all’interno della Chiesa, l’Inquisizione spagnola – oggi più conosciuta e studiata rispetto ai tempi in cui Berlin scriveva -, in oltre tre secoli di attività comminò poche migliaia di sentenze capitali, contro i milioni di innocenti che Stalin, Trockij, Bucharin e compagni liquidarono in appena pochi mesi.
Roberto Cavallo

 

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