LE “FRANTUMAZIONI” DELLA MADRE: DALLA STATUETTA ALLA STORIA (di Guido Verna – 3^ parte)

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7. L’ultima “frantumazione”, infine, è stata praticata dall’oratore su un episodio storico di grande rilievo: la battaglia di Vienna del 12 settembre 1683, quella che viene considerata come l’ultima grande e decisiva battaglia tra l’occidente cristiano e l’oriente islamico.

A fronte del suo commento — del genere consueto e ormai consunto: le guerre sono solo di carattere politico-economico, attenzione a non parlare mai di scontro tra religioni o civiltà etc. —, mi sono permesso di ricordare pubblicamente il Beato Marco d’Aviano [1631-1699, al secolo Carlo Domenico Cristofori], che in quei frangenti aveva esercitato e consolidato le sue virtù, fino a meritarsi la santificazione. Ma il tentativo di far passare questo ricordo ha avuto esiti di scarsissimo rilievo, anche perché ho avuto la sensazione che lo conoscessero in pochi, pur essendo stato beatificato da Giovanni Paolo II [1920; 1978-2005] il 27 aprile 2003.

Chi fu il piccolo, grande cappuccino chiunque può desumerlo — attraverso il sito ufficiale del Vaticano — dalla biografia pubblicata per la sua beatificazione: «Proprio in base alle pressanti insistenze imperiali e agli ordini provenienti da Roma, Marco d’Aviano dovette recarsi alla corte imperiale, prevalentemente nei mesi estivi, ben quattordici volte, e partecipare attivamente alla crociata antiturca: ad essa il Servo di Dio prese parte in qualità di legato pontificio e di missionario apostolico. Fu suo grande merito l’aver contribuito in prima persona e in maniera determinante alla liberazione di Vienna dall’assedio turco il 12 settembre 1683. Dal 1683 al 1689 partecipò personalmente alle campagne militari di difesa e di liberazione: suo scopo era instaurare e favorire reciproche relazioni amichevoli all’interno dell’esercito imperiale, esortare tutti a una vera condotta cristiana e assistere spiritualmente i soldati. Non mancarono grandi successi militari, come la liberazione di Buda il 2 settembre 1686, e quella di Belgrado il 6 settembre 1688» [Link 3].

Come omaggio al libro “asburgico” presentato, faccio notare che quel cappuccino — che si definiva il “medico spirituale dell’Europa” [ibid.] — era così “grande” che l’imperatore del Sacro Romano Impero, Leopoldo I d’Asburgo [1640-1705], nel 1703, quattro anni dopo la sua morte, ne dispose la traslazione delle spoglie «[…] in una cappella della chiesa dei cappuccini di Vienna, ove tuttora riposano» [ibid.].

 

Vienna: Chiesa dei Cappuccini

8. Un altro straordinario personaggio che merita di essere riportato alla luce — per il suo valore, per la sua dignità ma, ancor di più, per le caratteristiche mariane che lo segnano, così vivide e intense da inserirsi armonicamente nel quadro sviluppato finora — è il comandante dell’esercito cristiano, il leggendario Re di Polonia, Giovanni Sobieski [1629-1696].

Come racconta Padre Cosma, assistente di padre d’Aviano, «il Re era devotissimo alla Vergine e sempre seco portava in battaglia una bellissima effigie di Maria dipinta alla forma greca e […] l’esponeva sopra l’altare addobbato al culto de’ credenti nella tenda reale» [in AL1, p.250].

La “bellissima effigie” era il quadro della Vergine di Czestochowa, la Madonna nera sotto i cui occhi padre d’Aviano celebrò «l’ultima Messa solenne […] l’8 settembre, festa della Natività della Vergine […], [durante la quale] Sobieski fece da chierichetto, davanti ai generali e alla migliore nobiltà dell’Europa centrale, in ginocchio in un’ora decisiva per la storia dell’Occidente […].  Il 12 mattina, […] [il Re] fece dire Messa un’ultima volta. Poi cominciò l’attacco […]» [ibid., pp.249-250] e, infine, arrivò la vittoria.

Al termine della Messa il Beato d’Aviano aveva gridato “Ioannes vinces” (“Giovanni vincerai”), riferendosi ovviamente al condottiero Giovanni Sobieski [cfr. RS2].

Forse, però, aveva in mente, in luminosa continuità spirituale, anche un altro Giovanni: «Dopo la grande battaglia […], sotto le macerie fu trovata una bella immagine della Madonna di Loreto, nei cui lati era scritto: “In hac imagine Mariae victor eris Joannes; In hac imagine Mariae vinces Joannes” (“In questa immagine di Maria sarai vincitore, o Giovanni; in questa immagine di Maria vincerai, o Giovanni”). Era certo un’immagine portata lì da S. Giovanni da Capestrano [1386-1456], più di 2 secoli prima, nelle lotte contro i Turchi in Ungheria e a Belgrado. Sobieski volle che P. Marco la portasse nell’ingresso trionfale a Vienna il giorno dopo la vittoria. La portò con sé inseguendo il nemico e con essa riportò splendide vittorie contro i Turchi. La fece poi collocare nella sua Cappella e ogni giorno faceva celebrare dinanzi a Lei la S. Messa e cantare le Litanie Lauretane» [Link 4].

Il re di Polonia inviò al Papa le bandiere catturate e le accompagnò con queste parole: “Veni, vidi, Deus vicit” [cfr.RC]. Come sempre, anche in questo caso la gratitudine a Maria ausiliatrice fu esplicita e degna di memoria anche liturgica: «Il trionfo dell’esercito cristiano fu […] decisivo anche per gli anni a venire e la grandezza di quella giornata venne pienamente intesa dalla Chiesa che, ancora oggi, celebra quella vittoria con la festa del Nome di Maria, il 12 settembre» [AL1, p.251].

 

9. Aggiungo un’ultima osservazione, forse non perfettamente in tema ma credo non stridente.

La battaglia di Vienna fu giustamente considerata la più importante e la più significativa fra quelle combattute dall’esercito cristiano contro quello turco. Successivamente, però, ce ne fu un’altra di notevole rilevanza: mi riferisco a quella combattuta e vinta da Eugenio di Savoia [1663-1736] nel 1697, a Zenta, una cittadina sul fiume Tibisco, in Serbia.

Quella di Zenta, «fu una vittoria schiacciante tale da indurre la Sublime Porta a trattative che si conclusero con la pace di Carlowitz (26 febbraio 1699). Il 29 luglio di quello stesso anno moriva anche padre Marco d’Aviano e, con lui, aveva termine l’ultima crociata della Cristianità contro il pericolo ottomano» [ibid., p.254]. 

Ma la battaglia di Zenta aveva una densità simbolica che ci era sfuggita e che solo molti anni dopo era destinata ad essere pienamente e tragicamente percepita.

Il giorno in cui fu combattuta la battaglia di Zenta era l’11 settembre.

C’è chi ha memoria e pazienza storica migliori delle nostre.

 

10. Poiché sono un cultore del bicchiere “mezzo pieno”, sono in fondo molto contento che la “frantumazione” abbia risparmiato — non di principio, ma forse solo perché provvidenzialmente dimenticate — almeno altre due “interferenze dall’alto” di grandissima intensità e, come sempre, decisive per la storia dell’Europa cristiana.

La prima coinvolge il Bambino di Praga. Chi va nella capitale boema — ma anche chi va a Roma — può andare ad onorarlo nella “sua” chiesa, che, in entrambe le città, è dedicata a Santa Maria delle Vittorie.

Si incrocia così un ennesimo auxilium per un’altra vittoria cristiana: quella nella battaglia della Montagna Bianca (8 novembre 1620), combattuta su una collina nei pressi di Praga contro gli eserciti protestanti.  Quando sembrava che questi avessero ormai la meglio, «[…] accadde qualcosa che ne cambiò l’esito. Padre Domenico di Gesù Maria — spagnolo, padre generale dei Carmelitani Scalzi della Congregazione italiana, nominato cappellano dell’esercito cattolico su diretto invito di Ferdinando II [1608-1657] — benedisse i suoi soldati con un piccolo dipinto che portava appeso al collo e che rappresentava Maria in adorazione del Bambino. L’aveva recuperato così come l’impeto iconoclasta dei protestanti l’aveva ridotto: gli occhi di Maria, di Giuseppe e dei pastori erano stati “accecati”. Ma durante la benedizione, per una miracolosa legge del contrappasso, dall’immagine così ridotta uscirono raggi luminosi così intensi da “accecare” a loro volta i nemici, inducendoli ad una caotica fuga. L’esito della battaglia si capovolse, risolvendosi in una grande vittoria di Ferdinando II, cioè dei “cattolici”, e con una pesante sconfitta protestante» [GV].

(20-11-2011, 3\4, continua)

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