LE RAGIONI DEI VINTI NELLA STORIOGRAFIA RISORGIMENTALE. INTERVISTA A GIUSEPPE BRIENZA

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Dott. Giuseppe Brienza, storico e pubblicista

 

Dopo aver ricevuto una autorevole menzione su “L’Osservatore Romano“, con l’articolo pubblicato da Sandro Bulgarelli (“Quando Cavour cercò di «comprare» Roma capitale“, 30 agosto 2011, pag. 5) nel quale si fa stato del convegno tenutosi a Gorga, in provincia di Roma, il 12 agosto scorso e del ruolo svolto per la soluzione diplomatica (c.d. missione Pantaleoni-Passaglia) del la Questione Romana dal cardinal Santucci, con Giuseppe Brienza, biografo di questo poco conosciuto protagonista della storia italiana del Risorgimento, e coautore del volume degli Atti: “Pio IX e la Questione Romana. Atti del Convegno sul cardinal Vincenzo Santucci (1796-1861)” (a cura di Omar Ebrahime, con un Invito alla lettura di Mons. Luigi Negri, D’Ettoris Editori, 2a edizione aum. e corr., Crotone 2011, pp. 154), dialogheremo sulla recente storiografia del Risorgimento che, dopo 150 anni, sta finalmente evolvendosi nell’apertura anche alle ragioni dei “vinti”.

D. Crede che a distanza di 150 anni dal Risorgimento sia finalmente arrivato il momento di un dibattito anche sulle ombre che hanno caratterizzato il processo di unificazione italiana ?

R. Certamente, il fatto nuovo è che negli ultimi due anni è uscita nel nostro Paese una rilevante pubblicistica – anche di valore – contro la ricorrente retorica delle celebrazioni che, innanzitutto, ha ricordato come l’unificazione del Regno d’Italia fu subìta da diversi territori manu militari. Oltre alle vittime dell’espansionismo militare del piemontese Regno di Sardegna, penso sia giusto restituire agli italiani anche la memoria dei contadini meridionali “giustiziati” sommariamente per l’entrata in vigore di una iniqua legge marziale. Molti protagonisti del “Risorgimento” aderivano a un progetto interamente ideologico: sostituire la cultura tradizionale e cattolica dei popoli della Penisola con un diverso abito di pensiero, improntato alle filosofie politiche scaturite dalla svolta antropologica del pensiero ateo e illuminista del settecento che scatenò la Rivoluzione in Francia del 1789. Questo spiega anche le leggi sabaude che portarono alla soppressione degli ordini religiosi e delle organizzazioni assistenziali cattoliche (le benemerite Opere Pie). L’effetto più decisivo di tale operazione sarà la riduzione dell’influsso del cattolicesimo sulla cultura e sugli statuti dei popoli e delle comunità, nonché la sua rimozione, emarginazione o inquinamento — soprattutto attraverso la spiritualità “fredda” del giansenismo — nella vita pratica.

 

D. Per quanto riguarda invece il suo contributo al volume “Pio IX e la Questione Romana”, cosa ci può dire a proposito del discusso ruolo politico-diplomatico svolto da questo protagonista che lei ha meritoriamente riscoperto, il cardinal Vincenzo Santucci, durante il processo rivoluzionario che ha condotto all’Unità d’Italia?

R. Prima di tutto andrebbe chiarito che questo ruolo è “discusso” a causa delle infondate accuse rivoltegli di aver fatto parte del partito curiale “liberale” durante il Pontificato di Pio IX. E’ forse per questo che la vicenda biografica di questo tutt’altro che irrilevante testimone della storia della Chiesa e della Nazione italiana dell’800 è intessuta da non poche “singolarità”. Una delle quali è quella del testo del necrologio dedicatogli dall’Osservatore Romano. Il giorno successivo alla morte di Santucci, il 20 agosto 1861, quello che è oggi il “quotidiano ufficioso” della Santa Sede, ne recava infatti una rievocazione piuttosto strana. Si trattava, infatti, di un testo non titolato, anonimo, non firmato e, persino, di difficile individuazione grafica, che terminava molto insolitamente dispensandosi l’articolista dal tessere, cito, «[…] ora un particolare elogio [del Santucci], persuasi che altra penna e più della nostra autorevole si farà interprete colla dovuta ampiezza delle doti che adornavano l’illustre defunto, e del vivo desiderio che di sé lascia in tutti e specialmente negli eminentissimi suoi Colleghi». Sono passati più di 150 anni e quella “penna” non si è ancora trovata perché, del cardinale gorgano, non è apparsa finora alcuna biografia. Questo, probabilmente, proprio a causa del delicato ruolo politico-diplomatico da lui svolto durante i tentativi di risoluzione delal “Questione romana” e, in particolare, per le infondate accuse di aver fatto parte del partito curiale “liberale”. Dopo una buona prova data nel servizio alla Segreteria di Stato di Pio IX (1846-1878), l’11 luglio 1850 Santucci è promosso a Segretario della Sacra Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari, incarico che ricoprì fino al 1853, nell’ambito del quale fu chiamato ad affrontare le controversie che erano sorte tra la S. Sede ed il Regno di Sardegna in conseguenza dell’emanazione, da parte di quest’ultimo Stato, della c.d. “legislazione eversiva dell’asse ecclesiastico”. L’apporto del Presule gorgano alla risoluzione delle relative problematiche fu condotto con una visione in parziale, sebbene ossequiosa, divergenza d’idee con l’allora cardinale Segretario di Stato (dal 1848 al 1876) Giacomo Antonelli. In effetti, come non ha mancato di sottolineare la pubblicistica risorgimentale nelle scarne (seppur uniche) voci biografiche a lui dedicate nei decenni successivi alla “breccia di Porta Pia”, al fine di tentarne in qualche modo una legittimazione presso i cattolici fedeli al Papa, Santucci fu incaricato da Pio IX di presiedere una Commissione di canonisti, la quale «[…] opinò che in compenso di benefici spirituali il Pontefice avrebbe potuto rinunziare al Potere temporale».

 

D. Invece, da quanto lei scrive, il cardinal Vincenzo Santucci in realtà era a favore di un ridimensionamento dei domini territoriali del Papato, dato che erano ormai mutate le condizioni storiche che ne giustificavano la persistenza…

R. Confermo. Quando Cavour affidò l’incarico di condurre le trattative per la risoluzione della “Questione romana” a Diomede Pantaleoni e Carlo Passaglia, i quali furono appunto i protagonisti dell’omonima “missione” tra l’ottobre del 1860 e il marzo del 1861, risulta che Pantaleoni presentò a Santucci un’ampia memoria da lui redatta, ispirata alle idee di Cavour tanto da passare alla storia come “Memorandum Cavour”. Tale documento fu trasmesso dal cardinale a Pio IX, che certamente lo lesse e, con ogni probabilità, lo fece esaminare dal Segretario di Stato Antonelli. Dopo la consegna del Memorandum seguirono, presieduti dallo stesso cardinal Antonelli, diversi incontri per la discussione dei suoi termini, il primo con Pantaleoni e Santucci, il 18 gennaio 1861, il secondo il 9 febbraio successivo, con vari cardinali di curia ed, esclusivamente fra Antonelli e Passaglia, in ben sei occasioni, vale a dire a fine gennaio, il 18 e 19 febbraio, il 16 e 25 marzo ed, infine, il 5 aprile dello stesso anno [1861], vale a dire quasi un mese dopo la proclamazione del “Regno d’Italia”! Questo a dimostrazione che Pio IX fece di tutto per evitare lo scontro che, poi, immancabilmente vi fu con la c.d. breccia di Porta Pia. Il presupposto da cui partiva Cavour, infatti, era la rinunzia pura e semplice al potere temporale del Papato mentre il Papa beato ed, a mio avviso, anche il cardinal Santucci con lui, non intendevano rinunciare ad una sovranità territoriale, seppur minima, a presidio dell’esercizio della potestà spirituale del Pontefice.

 

D. In Appendice allo stesso volume, lei ha curato la ripubblicazione, a 150 anni di distanza, di un interessante saggio di un altro protagonista sconosciuto della storiografia risorgimentale, anch’egli romano, lo storico legittimista Giuseppe Spada. Cosa ci può dire a proposito delle sue “Osservazioni storiche sulla unità e nazionalità italiana”?

R. In effetti, ben prima dell’inizio della “missione Pantaleoni-Passaglia”, non solo nella Curia romana ma anche nell’ambito della migliore intellighenzia suddita pontificia, le idee su Cavour e sulle intenzioni della “Rivoluzione italiana” erano già ben chiare. Basti pensare al caso del romano Giuseppe Spada (1796-1867), che assume in più occasioni incarichi politico-amministrativi durante il Pontificato di Pio IX, la cui intera opera storico-saggistica si può dire sia “consacrata” a documentare e denunciare il carattere anti-religioso e cospirativo del pro¬cesso di edificazione dell’Italia unita sotto la Corona dei Savoia. Fra le principali opere dello storico cattolico solo due sono state pubblicate durante la sua vita, con l’implicita approvazione della Santa Sede benché prive naturalmente di “imprimatur”, dato lo stato laicale dell’interessato. Entrambe testimoniano l’atteggiamento anti-risorgimentale della borghesia romana dell’epoca. La prima è Della Banca romana e della presente crisi monetaria in Roma, la seconda s’intitola Osservazioni storiche sulla unità e nazionalità italiana e, poiché pubblicata proprio a Roma in un anno cruciale come il 1860, attesta a mio avviso come l’interruzione repentina delle “trattative” con gli emissari cavouriani non sia stato un fulmine a ciel sereno dettato solo dalle vicende militari, interpretandosi piuttosto l’inizio stesso degli incontri con Passaglia e Pantaleoni come degli “atti dovuti” dettati dalla tradizionale apertura al dialogo della diplomazia vaticana, ma considerati e considerabili fin dall’inizio inevitabilmente destinati a fallire.

 

D. In sintesi, cosa scriveva in questo pamphlet lo Spada a proposito dell’Unità d’Italia?

R. Che, per le sue caratteristiche culturali, storiche e geografiche, l’Italia non aveva mai avuto né poteva efficacemente avere in futuro, come scrisse all’inizio del suo saggio, «[…] una unità assoluta, una autonomia sua propria, uniforme, distinta e indipendente». Alla luce delle conseguenze negative dell’Unità che, fino ad oggi, si palesano con problemi irrisolti e divisioni pro-secessionistiche, mi pare che le riflessioni di Spada vadano attentamente rivalutate.

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