L’EUROPA, LA CULTURA E LA CONVERSIONE (di Marco Invernizzi)

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Il filosofo Platone

Giovanni Reale (1931-2014) è stato un grande studioso della filosofia, in particolare antica e soprattutto quella di Platone (428/427-348/347 a.C.). Chi ha studiato nella Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano lo ricorderà certamente alla cattedra di Storia della filosofia antica, ma tutti possono conoscerlo attraverso i suoi libri, in particolare il celebre manuale per i licei, scritto con Dario Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini a oggi, edito da La Scuola e ininterrottamente ripubblicato da decenni.

Reale non era soltanto uno studioso impegnato nella ricerca e nella scoperta delle “dottrine non scritte” di Platone, ma anche un intellettuale attento al dibattito pubblico e in particolare alla cultura egemone, perché era consapevole come sia la cultura a influenzare la politica e le istituzioni, e non viceversa.

Ho così riletto un suo libro, Radici culturali e spirituali dell’Europa. Per una rinascita dell’«uomo europeo» (Cortina, Milano 2003), scritto durante il dibattito che sortì quando, nel Preambolo della possibile Costituzione europea (che poi venne accantonata), erano state “cassate” le radici cristiane nella storia e nell’identità dell’Europa.

Il libro è molto importante e può aiutare molto a fornire un orientamento su che cosa possiamo pensare oggi del dibattito sempre aperto a proposito del futuro dell’Unione Europea e in prossimità delle elezioni europee di fine maggio. Infatti, negli ultimi 15 anni molte cose sono cambiate in Europa, ma le domande di fondo rimangono sempre le stesse che Reale affronta nel suo testo: ci sono delle radici oggettive nella storia europea? E se sì, quali sono? E come si fa a formare degli europei che ne tengano conto?

Leggiamo o rileggiamo, dunque, quel libro importante, che ha sì 15 anni di vita, ma che è ancora attuale (e in commercio). Ne emergono alcuni punti fondamentali.

In primo luogo, che la forma mentis degli europei, anche di quelli che non conoscono minimamente la filosofia greca, si fonda su quel modo di pensare che ha origine in quella stagione culturale che viene chiamata appunto “filosofia greca” e che ha in Socrate (470/469-399 a.C.), Platone e Aristotele (384/383-322 a.C.) gli esponenti principali.

Secondo, Reale ricorda come a fondamento dell’identità dell’uomo europeo ci sia il messaggio cristiano e in particolare l’idea di persona che emerge dopo l’impatto della Rivelazione cristiana con la storia dell’impero romano e dei popoli barbari progressivamente convertitisi alla fede nel Signore Gesù Cristo. Il terzo fondamento dell’identità europea è, secondo Reale, la rivoluzione scientifico-tecnica, iniziata nel Seicento con tutti i suoi effetti sul futuro dell’Europa.

Stabilito questo, Reale si interroga sul perché questi princìpi storicamente ineccepibili non siano tenuti presente da chi sta cercando di costruire l’Europa oggi, a livello sia culturale sia politico. La domanda è retorica, ma viene comunque affrontata. Lo studioso non si rifà ai principi della dottrina contro-rivoluzionaria, che spiegano il “processo” di erosione della cultura cristiana dalle istituzioni e dal costume della società occidentale, e tuttavia si capisce dalle sue pagine come il nichilismo oggi dominante debba avere avuto un itinerario, cioè un “processo” passato attraverso diverse fasi. Gli aspetti però più importanti del profondo lavoro di Reale sono due.

Il primo è la sottolineatura della cultura come l’elemento senza il quale non ci potrà mai essere un’inversione di rotta: «In particolare, si dovrebbe cercare di conferire adeguata importanza alla cultura», scrive Reale (p. 136). È invece per esperienza noto quanto la cultura sia oggi trascurata e sottovalutata, soprattutto dal ceto politico, ma purtroppo anche dall’uomo comune. La si ritiene una perdita di tempo, che riguarda soltanto pochi intellettuali un po’ separati dalle cose importanti, senz’avvedersi del fatto che una “cultura” relativista e nichilista è nel frattempo penetrata dentro di noi, impadronendosi del nostro modo di ragionare e orientando i nostri giudizi. Siamo abituati ad aspettare dagli Stati la soluzione dei problemi e invece Reale ricorda che sono le persone che fanno gli Stati, non viceversa, una verità, questa, antica quanto Platone.

Il secondo principio richiamato dal libro di Reale, e strettamente collegato al primo, riguarda il fatto che, senza europei che credano in queste verità, la situazione attuale non muterà mai. Se gli uomini che vivono in Europa non cominciano a cambiare direzione alle proprie vite in numero sufficiente per “dare un segnale” forte all’intero continente, ricordare le radici cristiane dell’Europa servirà a poco. Ma è realistico coltivare questa speranza? Reale risponde così: «Tale “mutamento di rotta spirituale” potrebbe sembrare a molti del tutto “improbabile”. Ma, come dice un antico proverbio, l’improbabile non è l’impossibile» (p. 142).

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