L’INGANNO ANTIRAZZISTA: COME IL PROGRESSISMO UCCIDE IDENTITÀ E POPOLI (di Giacomo Maria Pezzuto)

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Ho da poco tempo finito di leggere il libro L’inganno antirazzista. Come il progressismo uccide identità e popoli di Stelio Fergola, edito dalla casa editrice “Passaggio al Bosco” (di chiara ispirazione jungeriana). Storico, giornalista, direttore del quotidiano online Oltre la Linea e autore di numerose pubblicazioni (tra cui il saggio La cultura della morte. Aborto, eutanasia e nuovo vengelo progressista, pubblicato dalla casa editrice “La Vela”), Fergola nel suo saggio sferra un duro attacco al multiculturalismo, al progressismo e a tutta la schiera di intellettuali (docenti, giornalisti, politici, attivisti, ecc.) sempre pronti a pontificare su quanto sia retrogrado e “medievale” (inteso in senso spregiativo, secondo il luogo comune illuminista che vuole il Medioevo un periodo oscurantista) il popolo italiano, reo, a loro dire, di essere insofferente al progressismo e troppo attaccato alle tradizioni. Tali intellettuali, inoltre, gettano fango sull’Italia e su qualsiasi forma di orgoglio nazionale, da essi visto come un “pericoloso rigurgito fascista”. Tutto ciò nel segno dell’“antirazzismo” che nasconde, spesso, un’ideologia violenta, sovente coperta o minimizzata dai media e dalla politica nazionale.

Un libro che farebbe rinsavire anche il radical-chic più convito, perché analizza con crudo realismo e ampio supporto di dati statistici e studi scientifici, nazionali e non, i seri problemi scaturenti dal multiculturalismo e dall’immigrazione massiccia a cui assistiamo da ormai più di cinque anni, dimostrando come la convivenza forzata di culture molto diverse tra loro non sia possibile, anzi spesso dannosa.

Come ci può essere integrazione tra musulmani wahabiti e salafiti e la civiltà occidentale (non necessariamente cristiana)? A supporto delle sue teorie l’autore cita i casi emblematici della Francia, del Belgio, degli Stati Uniti d’America, del Regno Unito e, soprattutto, della Svezia. In questi Paesi, la convivenza tra culture diametralmente opposte sfocia spesso in violenti scontri con la Polizia e tensioni tra gli abitanti nei quartieri multietnici (come il quartiere Molenbeek a Bruxelles o Rinkeby a Stoccolma). Il dato che l’autore evidenzia è che spesso si tratta di immigrati di seconda o terza generazione, spesso aventi la cittadinanza dello Stato in cui vivono e che, nonostante tutto, non si siano integrati e non abbiano alcuna voglia di farlo. In questi quartieri è molto alto il rischio di radicalizzazione, tant’è che, ad esempio, dal Belgio e dalla Svezia sono partiti diversi foreign fighters diretti in Siria a combattere tra le fila dell’ISIS.

Grazie ad un solido bagaglio culturale, Fergola passa al setaccio e smonta anche le contraddizioni di quello che lui chiama ilvangelo progressistache bolla come razziste tutte le opinioni contrarie alla cultura progressista e politicamente corretta dominante e lancia un campanello d’allarme su come si stia cercando di cancellare le identità nazionali, azzerando qualsiasi differenza tra i popoli.

Siamo di fronte ad una accusa molto dura nei confronti dell’Occidente individualista, liberale e relativista, che ha dimenticato (dolosamente) le proprie radici e non è capace di tutelare i propri cittadini e che rischia di scomparire a causa di un autolesionismo e un “auto-razzismo” rappresentato in modo paradigmatico dal serio problema del calo delle nascite.

Conclude poi con la cd apologia del confine: “Siano benedetti i confini nazionali: perimetrano il territorio, ma garantiscono diritti, spazi giuridici ed economici, tutelando anche coloro che hanno il permesso di entrare, per ragioni turistiche o di affari. I confini sono garanzia di politiche sociali, manifestazioni di uno Stato forte e interventista per le fasce deboli della popolazione”.

Voglio concludere questa recensione con le parole del massimo esponente del conservatorismo europeo, il filosofo britannico Roger Scruton: “Errori? L’aver accettato il multiculturalismo come un obbiettivo politico ed educativo ed esserci abituati a denigrare la vera cultura nazionale e politica dalla quale dipendiamo”.

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