MUSICA (NAZIONAL) POPOLARE (di David Taglieri)

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giordanoLa musica leggera dovrebbe accompagnare le persone verso quel percorso di spensieratezza dove le coordinate possono essere l’allegria e la riflessione al medesimo tempo. Ci si augura con ironia e con buon senso che sia una leggerezza pensante e non pesante, proprio per evitare ossimori difficili da digerire.

Per molto tempo certi artisti nostrani nel voler condurre la barca musicale nell’oceano della discografia hanno concepito una narrazione fatta di musiche e parole semplici, magari con la colonna portante del motivetto che a forza di essere sentito ed ascoltato è entrato nelle orecchie, nei cuori, nei pensieri e non in ultima istanza nell’immaginario collettivo.

Merito di Paolo Giordano, giornalista, scrittore e critico musicale de il Giornale dal 1997, è di aver descritto nel consueto spazio del giovedì dedicato ai piccoli saggi controcorrente il concetto di musica popolare.

Le note e le parole destinate alla gente comune hanno segnato un cambiamento epocale nella percezione del vissuto, e nella narrazione di una penisola.

Certi brani un tempo sottovalutati sono ancora cantati a squarcia gola nelle gite scolastiche, sotto la doccia, in metropolitana, nelle aree spazio-temporali dove a tratti gli orologi sembrano fermarsi…

Per svariato tempo la canzonetta popolare è stata tacciata di disimpegno, che per l’intellighenzia aristocratica istituzionale era sinonimo di anti-politica, di fascismo, di conservatorismo, di regresso.

Tranne quei momenti abituali, nei quali un determinato cantautore si dichiarasse aderente alla “religione civile del progresso”, fase determinante per essere dichiarato artista impegnato, e quindi poliedrico e a tutto tondo.

Ne seppe qualcosa Lucio Battisti – che mai fece endorsements politici – un mostro sacro della musica italiana che scriveva soltanto le sonorità e le note dei suoi pezzi lasciando la penna in mano ad un certo Mogol, che comunque seguiva gli schemi e le idee del compositore laziale. Lucio chiarì che il suo intento era quello di raccontare la vita dei profumi, degli odori, dei paesaggi e delle emozioni che sono legati a situazioni universali. Fu con grande ipocrisia celebrato dopo la morte, dimenticando – aggiungiamo noi – quanto fu dileggiato da stampa e media prima per le sue presunte simpatie conservatrici, poi per la seconda vita musicale figlia della collaborazione con il filosofo Pasquale Panella ingiustamente oggetto di comparazione con Mogol.

Sicuramente si può riconoscere al Lucio nazionale di non essere mai stato ego-riferito come certi rivoluzionari che parlavano solo di se stessi, delle manifestazioni di piazza, e dei propri amori.

La DC pur di trattenere il potere – come sappiamo – delegò il mondo della cultura alla sinistra; per questo una testa libera come Enrico Ruggeri anni fa disse che “… se l’area liberale avesse avuto gli Inti Illimani, sarebbe stata per molto tempo al potere senza problemi numerici.”

Paolo Giordano mette in evidenza anche quanto siano cambiati i tempi in fatto di fruizione; il cantante J-Ax, non certo un pericoloso reazionario, ha sintetizzato il cambiamento epocale del selfie globale – ogni ricordo è più importante condividerlo che viverlo -.

Ed invece i ricordi vanno vissuti nella propria interiorità, mantenendo quella affascinante riservatezza che dà linfa alla colonna sonora della nostra esistenza.

Questo è solo un assaggio: il piccolo saggio è tutto da godere, soprattutto per comprendere quanto la musica riesca a farci sentire con gli occhi o vedere con le orecchie il racconto di una Nazione.

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