STORIA DELLA CULTURA INGLESE, PALCOSCENICO DEL MONDO. UN AMPIO SPACCATO DEL LIBRO DI MATTHEW FFORDE (Corriere del Giorno, sabato 23 gennaio 2010, pag. 30)

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“Il Signore degli anelli” del cattolico John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973) ha venduto più di 150 milioni di copie e la recente serie di film basata sulla sua trilogia è diventata un enorme successo commerciale. E’ solo un esempio della forza e dell’importanza della letteratura britannica contemporanea, di cui un ampio spaccato ci offre l’inglese Matthew Fforde nel suo libro “Storia della cultura inglese” (Cantagalli, Siena, luglio 2009, pagg. 207).

Dopo aver studiato e insegnato ad Oxford, Fforde è oggi docente di Storia della cultura inglese presso la Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA) di Roma. Collabora con l’Osservatore Romano, per le cui pagine ha pubblicato alcuni saggi sui principali scrittori inglesi degli ultimi due secoli: proprio tali saggi sono ora collezionati nel volume proposto da Cantagalli.

Nel libro trovano dunque spazio tutti i principali autori della recente letteratura inglese, alcuni molto noti al grande pubblico italiano. Leggendo il libro si scoprono così le origini di personaggi e titoli che ci hanno accompagnato sin dall’infanzia e la cui notorietà è dovuta non solo alla letteratura ma anche al cinema: “Oliver Twist”, “Il Libro della giungla”, “Le cronache di Narnia”, “Frankenstein”, “L’agente 007”, “La freccia nera”, “L’isola del tesoro” e così via.

L’autore in questo libro si dedica al tema che più gli è familiare, la storia della cultura intesa in senso lato. Dunque letteratura in primo luogo, ma anche cinema e fumetto, memorialistica e fantascienza, storiografia e filosofia. Si va dalla rivisitazione dei classici ottocenteschi (Stevenson, Trollope, Kipling) all’analisi dei best seller degli ultimi decenni (Le Carré, Dan Brown). C’è il Lewis delle “Cronache di Narnia”, insieme al Tolkien del “Signore degli anelli”, e molto altro ancora.

Leggendo l’opera di Fforde si ricava quindi uno spaccato non solo della recente storia inglese ma gioco forza della storia mondiale, di cui la Gran Bretagna è stata in assoluto una delle principali protagoniste. Fra i tanti stimoli che l’opera di Fforde offre, ci piace segnalare la sua attenzione per il filone letterario inglese (quello del cosiddetto “romanzo bioetico”), che affronta le sfide lanciate dalla modernità e dalla post modernità alla dignità della persona umana. Diversi scrittori britannici hanno già analizzato i pericoli dell’intervento scientifico sulla dimensione corporea dell’ uomo, in particolare nel campo della procreazione e della riproduzione. E non a caso: la Gran Bretagna di oggi è uno dei paesi occidentali in cui si è consentito alla scienza di essere più lesiva verso la dignità della persona umana nelle prime fasi Frankenstein, or the Modern Prometheus, di Mary Shelley) che rilevavano già l’incontrollabilità della scienza in questa sfera nonché le conseguenze della violazione della legge naturale in questo campo: disturbi profondi dell’identità, alienazione e disumanizzazione, distruttività” (pag. 46).

La violazione della legge naturale comporta quindi disturbi profondi dell’identità, disumanizzazione, distruttività. Di conseguenza, altro tema su cui Matthew Fforde focalizza la propria attenzione è quello della de-socializzazione (elemento ricorrente della recente letteratura inglese), su cui insistono autori come FranNick Hornby e Ian MacEwan.

La società britannica della post-modernità è caratterizzata dal venir meno dei legami sociali. Tale “de-socializzazione” si esprime a diversi livelli, dalla decadenza della società civile (anche nelle buone maniere!) alla disaffezione verso le istituzioni politiche, dagli alti tassi di criminalità al numero senza precedenti di detenuti; dalla grave crisi della famiglia all’enorme quantità delle persone che vivono sole. Oggi un matrimonio su tre termina con un divorzio, il numero delle persone che si sposano è in brusco calo, negli ultimi decenni le famiglie “mono genitore” sono assai aumentate, la figura del single diviene sempre più comune: se la tendenza in atto non dovesse modificarsi, in Inghilterra e nel Galles nel 2016 – scrive Fforde – il 36% delle case saranno abitate da una sola persona. In ogni caso, i figli della post-modernità non possono dirsi felici. In tali condizioni non lo si può essere. Per fare un esempio, in Inghilterra nel 2001 le prescrizioni di antidepressivi sono state 24 milioni. Naturalmente, la deriva verso il venir meno dei legami sociali non è un fatto solo britannico (sebbene si configuri in Gran Bretagna come un processo particolarmente avanzato), ma, come hanno rilevato studiosi quali A.

Etzioni o F. Fukuyama, si riscontra con diverse gradazioni di intensità in tutto l’ Occidente, dove anzi ha ispirato specifici filoni letterari e cinematografici. Alla fine di tutto il suo percorso moderno e post-moderno, l’uomo inglese (che è anche emblematica rappresentazione dell’uomo occidentale) si ritrova dunque più solo che mai. A fronte di tale epocale “peso della solitudine”, evidente conseguenza del secolarismo, Fforde rileva la positiva influenza di tanti scrittori britannici, araldi di un messaggio di speranza tipicamente cristiano: Eliot, Tolkien, Chesterton, Lewis, Benson, Gray (amico quest’ultimo di Oscar Wilde) e tanti altri ancora.

 

Roberto Cavallo

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