ARMENI IN FUGA DALLA MEZZALUNA

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Dal Foglio del 29 settembre riportiamo l’analisi di Micol Flammini:

“Lo stato separatista sarà dissolto dal primo gennaio, ma la sua fine riscrive non soltanto la storia del popolo armeno ma anche quella della regione e della fiducia in un’alleanza inutile con Mosca di cui l’Armenia vuole disfarsi.

Una giornalista della televisione armena Tv5 scoppia a piangere: legge la notizia che è appena arrivata, non riesce a finire le frasi, interrompe tra i singhiozzi l’annuncio  che tutti aspettavano sulla dissoluzione della Repubblica dell’Artsakh, lo stato separatista del Nagorno Karabakh.

Samvel Sahramanyan, il presidente della regione a maggioranza armena che si trova nel territorio azero e che per la comunità internazionale appartiene all’Azerbaigian, non aveva alternative che firmare il decreto che sancisce la fine di uno stato che neppure l’Armenia ha mai riconosciuto, ma che condensa in sé più di trent’anni di guerre, sofferenze,  una ricerca complessa  di riconoscimento internazionale e indipendenza.  

Il Nagorno Karabakh, si legge nel decreto, non esisterà più a partire dal primo gennaio del 2024. Tutte le sue istituzioni saranno sciolte, l’esercito sarà disarmato. I capi della regione dovranno decidere se tentare di raggiungere l’Armenia o se consegnarsi agli azeri, che ancora non sono entrati nella città principale, Stepanakert, ma che sono in attesa. Il numero delle persone in fuga cresce, gli armeni del Nagorno Karabakh non vogliono rimanere in un territorio che sarà controllato dagli azeri, hanno paura che dopo l’attacco arrivi la pulizia etnica. Le promesse di Baku per ora sono diverse, l’Azerbaijan invita i cittadini di etnia armena a rimanere, dice che garantirà la loro sicurezza, ma la storia insegna altro, e gli armeni guardano alla storia con paura.

Il Nagorno Karabakh era un conto in sospeso, una promessa tradita, un territorio incagliato tra due stati dalle macerie dell’Unione sovietica. Dalla fine della Guerra fredda non soltanto il territorio ha continuato a cercare la sua indipendenza, ma quello che accadeva nel Nagorno Karabakh era anche determinante per la vita politica di chi governava in Armenia e in Azerbaijan. Il presidente azero, Ilham Aliyev, ha voluto mettere il suo nome sulla guerra, sferrando un primo attacco nel 2020 e poi adesso recuperando totalmente il controllo del territorio e riuscendo a fare quello che suo padre, Heyder, non era invece riuscito a fare: era ritenuto l’azero più famoso dell’Unione sovietica, ufficiale del Kgb che era riuscito a fare carriera anche grazie alla sua vicinanza con Leonid Breznev. Dopo la dissoluzione dell’Urss, il Parlamento dell’Azerbaigian lo volle al potere proprio perché, determinato e ambizioso, sembrava l’unico in grado di poter vincere una guerra per il controllo del Nagorno Karabakh. Non la vinse, però si tenne il potere a vita, e poi venne sostituito da suo figlio, altrettanto ambizioso che stringendo nuove alleanze – e grazie alle sue risorse energetiche  l’Azerbaijan è un alleato ambito da tutto il mondo – e investendo in armi ha concluso quello che suo padre non era riuscito a concludere.  Anche sul futuro del premier armeno, Nikol Pashinyan, la storia del Nagorno Karabakh ha un impatto politico. Chi fugge dal territorio, chi abbandona ogni cosa, chi si stringe nel bagagliaio gli ultimi trent’anni di vita riconosce un nemico – l’Azerbaijan – e due traditori: la Russia e l’Armenia. Gli armeni del Nagorno Karabakh ritengono  di essere stati abbandonati, traditi e dimenticati, eppure non hanno altra scelta che percorrere il corridoio di Lachin e andare a Erevan. Anche i cittadini armeni accusano Pashinyan di non aver fatto abbastanza, di aver firmato, nel 2020, un cessate il fuoco che andava bene per tutti tranne che per il suo popolo, di essere stato poco attento alle minacce che arrivavano dall’Azerbaijan e adesso di voler chiudere frettolosamente una storia che cambierà per sempre l’Armenia.

La dissoluzione del Nagorno Karabakh riscrive anche un ordine internazionale che per Erevan era rimasto immutato. 

L’Armenia non aveva stravolto la sua alleanza con la Russia, che si sarebbe dovuta incaricare della sicurezza dei suoi alleati. Il Cremlino non lo ha fatto e anziché aiutare gli armeni ha impiegato le sue forze per invadere l’Ucraina.

Un’alleanza con Mosca non ha più senso e l’Armenia è pronta a rifare tutto, a uscire dalla Csto, l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva, un’alleanza difensiva russocentrica che finora è stata utilizzata per sedare le proteste in Kazakistan nel 2022, un’azione ben poco difensiva.

Nel ritessere il suo mondo, nel cercare una zona più sicura e nel mettere i paletti con Mosca, Erevan ha anche intenzione di uscire dalla Csi, la Comunità degli stati indipendenti che raggruppa molti dei paesi che prima erano tenuti assieme dall’Urss,  e di ratificare invece lo statuto di Roma della Corte penale internazionale che ha spiccato un mandato di arresto contro Vladimir Putin.

Il Cremlino ha risposto che ci saranno conseguenze gravi.

Un pezzo alla volta l’alleanza  russocentrica si sfalda, anche il Kazakistan, che ne ha fatto parte finora,  ha preso le distanze e il presidente Qasym-Jomart Toqaev ha detto ieri a Berlino di voler seguire le sanzioni occidentali. Il presidente  Putin voleva aumentare il suo mondo, lo sta restringendo e tutto è partito da Kyiv.”.