GIULIA DI BAROLO: UNA DONNA DI CARITA’ AGLI ALBORI DEL RISORGIMENTO (Corriere del Giorno, 13 agosto 2009, pag. 27)

1670

Per le Edizioni del Capricorno di Torino, nell’ambito della collana “Santi contro, tra Rivoluzione e Capitalismo” diretta da Marco Tosatti, è stato pubblicato nel 2008 il volume “Giulia di Barolo. Una donna fra Restaurazione e Risorgimento” (pagg. 181, euro 8,90). Ne è autrice Simonetta Ronco, avvocato, docente pr ess o l’università di Genova, collaboratrice del Secolo XIX per le pagine della cultura. Vincitrice di vari premi letterari, è profonda conoscitrice del risorgimento piemontese.

Giulia Colbert di Maulevrier, discendente del ministro francese Colbert,   nacque il 27 giugno 1785. Nel 1807 conobbe e sposò il marchese Tancredi Falletti di Barolo e si trasferì in Piemonte. Per cinquant’anni spese il suo patrimonio e il suo tempo in opere di carità. In particolare il suo impegno, pioneristico e di straordinaria rilevanza sociale, si rivolse al campo dell’assistenza carceraria. Nel suo palazzo fondò il primo asilo di Torino e creò numerosi istituti assistenziali.  Nel 1821 Giulia Colbert di Barolo raggiunse uno degli obiettivi più alti e soddisfacenti della sua missione di carità: realizzare quella che può essere considerata una vera e propria riforma carceraria. In collaborazione con le istituzioni del Regno di Sardegna, trasferì le detenute che si trovavano in varie prigioni fatiscenti in una struttura nuova di zecca: “L’edificio era decisamente migliore dei precedenti, più luminoso ed aerato: tutte potevano ad ore diverse passeggiare in un cortile rischiarato dal sole in ogni stagione…” (pag. 54). Considerava la prigione come “un ospedale di animi malati, ai quali non si possono somministrare dei rimedi che poco a poco, e con una dolcezza e una pazienza inalterabili”.  L’attenzione di Giulia non si limitò alla condizione delle detenute, ma si rivolse anche al loro recupero una volta espiata la pena e uscite dal carcere. Costituì quindi laboratori artigianali dove le ex detenute potevano essere impiegate,  evitando che ripiombassero nelle condizioni di miseria, spesso all’origine di vite disordinate. In lei l’impegno sociale non si disgiunse mai dall’afflato religioso. E’ in tale ottica che fondò vari istituti religiosi femminili, per i quali ottenne il riconoscimento pontificio. Negli anni 1844-1845 venne a contatto e collaborò con due personalità di grande spicco nel mondo piemontese dell’assistenza, entrambi futuri santi: Giuseppe Cafasso e Giovanni Bosco. Questi ed altri grandi personaggi, al pari di Giulia di Barolo espressione della solidarietà piemontese, non furono frutto del caso, ma di una società cristiana ricca di valori (pur con i suoi inevitabili difetti). Una società dunque – quella cosiddetta dell’Ancien Regime – che forse non merita quegli appunti negativi cui l’Autrice ogni tanto si lascia andare: senza quel tessuto sociale probabilmente non vi sarebbe stata nessuna Giulia di Barolo, né un San Giovanni Bosco. Quel mondo fu messo a dura prova dal Risorgimento, espressione italiana della Rivoluzione francese. Amica di Cavour, di Pellico, di Lamartine, Giulia Colbert di Barolo seppe essere riformatrice e donna aperta al dialogo, ma ancorò il suo entusiasmo e la sua naturale capacità di relazionarsi ad una profonda vita di fede, che la portava a condannare le deviazioni dottrinali e politiche del tempo. Nel corso di un’animata discussione nel suo salotto, nel 1846 così la marchesa replicava a Camillo Benso di Cavour che sosteneva gli ideali della Rivoluzione francese: “In quanto a me, sono nata vandeana e vandeana morrò“. In quel salotto, neanche a dirlo, oltre a Cavour c’erano alcuni fra i più noti nomi del risorgimento italiano: Cesare Balbo, Pietro di Santa Rosa e Silvio Pellico.  In effetti, scrive Marco Tosatti nella prefazione, la gaffe l’aveva fatta Cavour: “... perché parlare di Rivoluzione in casa di una che aveva visto morire sulla ghigliottina del Terrore la nonna amatissima e una schiera di altri parenti, e che era dovuta fuggire all’estero per non subire la stessa sorte, non era proprio il massimo della diplomazia...” (pag. VIII). I moti anticlericali che agitarono il Regno di Sardegna negli anni immediatamente antecedenti al 1848 non lasciarono indenni neanche le fondazioni benefiche dei marchesi Falletti: “Le accuse più ignobili vennero formulate contro gli istituti dei Falletti e contro gli intenti della marchesa nei confronti delle giovani donne che in essi venivano accolte. Si giunse a dire che le faceva rapire, per rinchiuderle contro la loro volontà lontano dalle famiglie. Naturalmente le accuse, portate davanti ai tribunali, furono subito dichiarate false. ” (pagg. 141-142). Pronta a dare la vita pur di adempiere sino in fondo alla sua missione in favore dei più poveri ed emarginati, Giulia di Barolo ospitò nel suo palazzo Francesco Pellico, fratello dell’illustre Silvio, per metterlo al riparo dalle violenze degli anticlericali. Francesco Pellico era infatti il padre provinciale dei gesuiti.

Splendida testimone della transizione italiana dalla restaurazione all’unità d’Italia, il 19 gennaio 1864 Giulia Colbert di Barolo spirò: la sua vita fu un modo diverso di vivere e interpretare il risorgimento.

Di Giulia e del marito Tancredi, che con la consorte condivise l’impegno di carità, è in corso la causa di beatificazione.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui