IL KAZAKISTAN E IL GRANDE MIRACOLO (di Guido Verna – 1^ parte)

714
  1. Kazakistan: la «terra inumana» che uno straordinario miracolo ha fatto diventare umana

Per qualche tempo il Kazakistan, per estensione il nono paese della Terra e il primo tra quelli che non hanno sbocchi sul mare, e la sua “giovane” capitale Astana ricorrevano spesso sulle prime pagine dei giornali. A partire dal gennaio 2017, infatti, vi si svolsero i colloqui e le trattative per la cessazione dei sanguinosi combattimenti in Siria.

In più, milioni di visitatori provenienti da ogni parte del globo hanno potuto ammirare le conclamate ricchezze architettoniche della capitale in occasione dell’Expo 2017 di cui è stata sede. Tantissimi, poi, conoscono Astana per la forte squadra ciclistica che – con inconsueta operazione di marketing – porta il suo nome in giro sulle strade del mondo.

Solo in pochi, però, ricordano che il Kazakistan per più di settant’anni – dal 1919, quando, come Repubblica Socialista Sovietica Kazaka, fu assorbito nell’Unione Sovietica, fino al 1990, quando è tornato libero – è stato un Paese sotto il giogo comunista.

Durante questi settant’anni, se da un lato fu notissimo a tutti per il cosmodromo di Baikonur, la città che fino al 1995 si chiamò Leninsk, da dove si lanciavano in orbita i satelliti (compreso il primo di essi, il mitico Sputnik1), da altri punti di vista fu conosciuto molto poco. Non molti, per esempio, mostravano di aver memoria della presenza a Semej (allora Semipalatinsk, una città a circa quattrocento chilometri ad est di Astana) di un’area di diciottomila chilometri quadrati utilizzata – per mezzo secolo e fino alla dissoluzione dell’Unione Sovietica – come poligono nucleare, in cui cioè si testavano armi di questo tipo. Un altro punto di vista pativa la dimenticanza: il Kazakistan, con le sue grandi e sconfinate steppe, non era solo il luogo ideale per lanciare gli Sputnik e provare le bombe atomiche, ma lo era anche per ubicarci i suoi terribili gulag, che – quando si decise di utilizzarlo come una sorta di zona da bonificare – furono riempiti attraverso spaventose operazioni di «trasferimento» di intere popolazioni. I deportati polacchi arrivarono a definire la terra kazaka come la «terra inumana».

Ma se solo in pochi ricordano il suo tragico e lungo passato sovietico, è ancora più triste constatare come solo pochissimi ricordino il miracolo straordinario – forse il più straordinario del periodo sovietico – che, con la potente mediazione della Madonna, pregata intensamente soprattutto con il Rosario, avvenne proprio in questa terra. Purtroppo, nemmeno nell’Anno del Giubileo della Divina Misericordia, quasi nessuno, almeno in Italia, si è ricordato del Santuario Nazionale di Nostra Signora Regina della Pace di Oziornoje che pure, come vedremo, aveva nessi non trascurabili con la Polonia, culla del culto alla Divina Misericordia.

2.    I “campi” in Kazakistan  

Le grandi steppe kazake furono un terreno fertile per la nascita dei “campi”. Come notò Solzenicyn [Aleksandr Isaevic, (1918-2008)], «[…] il vasto Kazachstan, non appena annesso all’Unione delle Repubbliche, risulterà adattissimo alle deportazioni coi suoi spazi sconfinati». Nel volume precedente, lo stesso Solzenicyn, al riguardo, si era espresso nei termini seguenti: «É degli anni anteguerra la conquista da parte dell’Arcipelago degli spopolati deserti del Kazakistan. Cresce a mo’ di piovra il nido dei lager di Karaganda, proiettano metastasi fruttuose a Džezkazgan con la sua acqua avvelenata dal rame, a Mointy, a Balchaš [lago ndr]. Si sparpagliano lager nel Kazakistan settentrionale».

Fra i tanti “campi” ce ne sono due che meritano di essere ricordati, anche se solo sommariamente. Il primo è quello di Kengir, vicino a Džezkazgan, al centro del Paese. Qui nel maggio del 1954, poco più di un anno dopo la morte di Stalin, scoppiò una rivolta dei prigionieri, che, prima di essere schiacciati dai carri armati sovietici, arrivarono addirittura ad eleggersi un capo e all’autogoverno; la rivolta fu raccontata ampiamente da Solzenycin, che le dedicò un capitolo del suo Arcipelago, intitolato I quaranta giorni di Kengir.

Il secondo “campo” meritevole di una menzione particolare si trovava in prossimità di Astana ed operò dagli anni ’30 fino ai primi anni ’50. Conosciuto come ALZhIR – acronimo russo di “campo per le mogli dei traditori della madrepatria di Akmolinskii” -, in esso furono, appunto, imprigionate le mogli dei “traditori della madrepatria”, spesso con i loro bambini, perché l’accusa di tradimento doveva estendersi alla famiglia e anche i figli innocenti dovevano pagare le colpe dei padri! E chiunque fosse stato contro il regime comunista poteva essere considerato un traditore siffatto, magari utilizzando l’”elasticità” del famigerato art. 58 del Codice penale sovietico! 

  1. continua