IL LABORATORIO DEL GULAG. LE ORIGINI DEL SISTEMA CONCENTRAZIONARIO SOVIETICO

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il-laboratorio-del-gulag_bigTra i monasteri e gli eremi delle Solovki – l’arcipelago del Mar Bianco, nell’estrema parte nord-occidentale della Russia, al largo di Archangel’sk – fu creato il primo campo di concentramento sovietico, il laboratorio di quella rete di 476 campi divenuti tristemente famosi con il nome di «Gulag». A partire dal 1923 e fino al 1939 i bolscevichi vi deportarono i «nemici» del comunismo: aristocratici, preti, «borghesi », contadini, operai, intellettuali, funzionari, artisti, quadri del Partito caduti in disgrazia. «Inventato» da Trockij, adottato da Lenin e perfezionato da Stalin, il campo delle Solovki arrivò a ospitare 70.000 detenuti e nel solo 1937 furono eseguite 2000 fucilazioni. Il modello delle Solovki (e, più in generale, il Gulag) influenzò profondamente la costruzione della società sovietica: si calcola che in quei decenni un adulto su sette trascorse almeno alcuni mesi in un campo. L’esperienza penitenziaria serviva a distruggere le «strutture» dell’epoca imperiale, a livellare le classi sociali e, soprattutto durante lo sforzo bellico, a fornire la manodopera necessaria all’industrializzazione del paese. L’«armata del lavoro» teorizzata da Trockij nel 1918, che avrebbe dovuto fare le fortune dell’Unione Sovietica, non consistette in altro che in migliaia e migliaia di esseri umani ridotti in schiavitù, mutilati e uccisi (anche mediante l’uso, sempre negato dalle autorità, di armi batteriologiche).

Costruito sulla scorta di una vasta documentazione originale, resa in gran parte accessibile dall’apertura degli archivi dell’ex Unione Sovietica, e con l’ausilio di molte testimonianze inedite di prigionieri sopravvissuti e dei loro familiari, questo libro (Lindau, Torino, 2009, pagg. 320) di Francine-Dominique Liechtenhan è un contributo di eccezionale valore alla conoscenza della verità e un omaggio alla memoria delle vittime del comunismo, ancora oggi dolorosamente neglette, in Russia come in Occidente.

Il saggio di Francine-Dominique Liechtenhan mostra come sia Trotzkij che Lenin siano all’ origine del sistema dei lager sovietici che tanti morti innocenti hanno prodotto.

Andrea Morigi, a proposito di questo libro, così ha scritto su «Libero» del 29 ottobre 2009:  «Nella logica del marxismo-leninismo, l’unica ragion d’essere di un monastero è la sua riconversione in campo di concentramento. Lo pretendono il mito del progresso e la volontà di farla finita con la contro-rivoluzione. Nulla come la vita contemplativa può essere più distante dalla filosofia materialistica della prassi. È Lev Trockij, già dal 1918, a individuare, nella zona che fino ad allora ospitava santuari e monaci ortodossi, il laboratorio in cui si sperimenterà la repressione totalitaria. Per la mentalità comunista, il concetto più corrispondente alla penitenza cristiana è la persecuzione. Basta sostituire Dio con il Partito e il gioco è fatto. Chi prima si affidava alla misericordia divina, dipende ora dai tribunali del popolo.»

L’AUTORE

Francine-Dominique Liechtenhan è nata nel 1956 a Basilea e si è laureata in Storia moderna e contemporanea e in Filologia russa a Parigi, città nella quale risiede e dove insegna all’università della Sorbonne-Paris IV e all’Institut Catholique.

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