IRAN, I GIOVANI CONTRO GLI AYATOLLAH

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Le forze di sicurezza in Iran ieri hanno sparato contro alcune persone che stavano manifestando a Teheran in occasione del primo anniversario della morte di Mahsa Amini, la giovane che ha perso la vita dopo essere stata rinchiusa in un centro di detenzione perché non portava correttamente il velo…

A tal proposito, riprendiamo dal Foglio del 17/09/2023, a pag.4, l’analisi di Cecilia Sala: “Ekbatan, nell’ovest di Teheran, è il quartiere dove ogni notte, per mesi, il nome di Mahsa Jina Amini e lo slogan “morte al dittatore” sono stati gridati a squarciagola dai tetti o dalle finestre stando nascosti dietro le tende. Da giorni è inaccessibile, ci sono i check point per le strade come in un paese in guerra, come c’erano nelle città curde d’Iran nelle settimane più violente e ambiziose della protesta e della repressione.

Il quartiere è sigillato da una specie di cordone sanitario fatto di blocchi stradali, poliziotti in motocicletta, poliziotti in borghese e miliziani armati.

Oggi è un anno esatto dalla morte di Mahsa Amini e, se un corteo ci sarà, le autorità si aspettano che parta da qui.

“Le donne giovani che si sono stufate di vivere in seconda classe”, come dice al Foglio una manifestante, “sono la maggioranza non soltanto a Teheran. Ma anche le donne più tradizionaliste, quella a cui non piace vederci in giro senza velo, non sono affatto d’accordo con chi ci governa su un punto: che una ragazza possa essere picchiata, espulsa dall’università, licenziata, arrestata o peggio perché si veste come vuole”. La professoressa iraniana Azadeh Moaveni, che dirige l’Istituto di giornalismo internazionale all’Università di New York, a un evento pubblico per l’anniversario della protesta ha detto: “Forse qui lo capiscono in pochi, ma l’Iran è il paese più secolarizzato del medio oriente. Parto da un esempio minuscolo: è il paese dove si vendono più Barbie senza il velo, rispetto alla versione della stessa bambola che porta l’hijab, di tutta la regione. La società iraniana è la più ‘post religiosa’ del mondo islamico. La vita civile è meno permeata dai dettami del Corano di quanto non lo sia persino nel paese dell’area che più associamo al secolarismo: la Turchia. E non mi riferisco soltanto alla vita civile delle élite, è un fenomeno molto più ampio, basta frequentare l’Iran per vedere con i propri occhi che è così”.

Questa premessa serviva ad arrivare alla conclusione che la società iraniana è già oggi molto lontana dalla rappresentazione che gli ayatollah vorrebbero darne, e dalle regole sull’abbigliamento delle ragazze che sono in vigore.

Con la propria scissione dalla realtà – e con la tensione che crea – il regime dovrà continuare a fare i conti, che i manifestanti riescano a organizzare un corteo per oggi o che non ci riescano più. In Iran la popolazione dei laureati è composta per il settanta per cento da donne. I giovani – la generazione più sensibile alle ragioni della protesta “Donna, vita, libertà” – sono i due terzi dei cittadini.

Secondo l’analista iraniano Adnan Tabatabai, soltanto una minoranza è scesa in piazza per Mahsa Amini, così come è soltanto una minoranza (quella dei principalisti, i conservatori militanti) a volere la polizia religiosa per le strade e che il velo venga imposto con la forza a tutte. Ma il fatto rilevante, secondo lui, è un altro: la maggioranza non avrebbe mai corso i rischi che correvano i ragazzi in strada, non vuole una guerra civile, un’altra rivoluzione o il sangue per le strade, ma sta dalla parte dei manifestanti per ciò che riguarda le libertà individuali e la possibilità di avere uno stile di vita non imposto da nessuno. Le autorità hanno fatto tutto il possibile per impedire che nel giorno di oggi si tenesse un corteo. Hanno arrestato i familiari dei manifestanti uccisi perché sono voci capaci con i loro appelli di riaccendere il movimento. Hanno cacciato i professori solidali con la protesta dalle università e ventilato punizioni come la perdita del diritto allo studio e il carcere per le ragazze ribelli, per mandare un messaggio e intimidire. E hanno militarizzato i quartieri indomiti delle città. A prescindere dai cortei, come hanno rivelato i carteggi interni ai media degli ayatollah e tra i pasdaran raccolti dalla ricercatrice Narges Bajoghli, una consapevolezza ai vertici della Repubblica islamica esiste già: “Ci siamo persi i giovani, insomma il futuro”.”