L’ITALIA E IL PREMIERATO (di David Taglieri)

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La riforma sul Premierato ha ottenuto l’approvazione del Consiglio dei Ministri; durante la conferenza stampa di presentazione delle novità il capo del governo Giorgia Meloni ha illustrato l’elezione del Presidente del Consiglio a suffragio universale e diretto per cinque anni.

Il testo si compone di cinque articoli con una serie di norme che fanno da argine l’una con l’altra e creano un meccanismo ben studiato di pesi e contrappesi in un’ottica di equilibrio.

L’equilibrio è un concetto quasi teorico che vive tante declinazioni quante sono le modalità della sua applicazione; si tratta quasi di un brocardo invisibile ma in tutte le situazioni politiche, prepolitiche, esistenziali ed antropologiche rappresenta spesso la bussola ideale, la stella polare per dar il via e la vita a costruzioni basate sull’intelligenza, sulla razionalità e sull’efficacia.

Oggi l’Italia sta attraversando una serie di crisi che possono dar vita prima o poi ad un corto circuito: tensioni politiche, istituzionali, economiche.

Una delle parole d’ordine che guidano la volontà di cambiamento è la semplificazione che, però, non può e non deve far rima con banalizzazione.

Ovviamente l’entrata in vigore di alcune premesse di mutamento può scardinare una confort zone, abbattere rapporti consolidati precedentemente, rompere un clima che si era instaurato.

Spesso i cambiamenti vanno sperimentati e bisogna ragionare, anche in politica, per prove ed errori. La matematica certezza non vi sarà mai, ma la medicina di piccole modifiche può alimentare un sistema di azioni e correzioni.

Il potere del Presidente della Repubblica e quello del Parlamento potrebbero subire un certo cambio di rotta nell’azione politica.

Il disegno di legge Casellati recita espressamente: “Introduzione dell’elezione popolare diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri e razionalizzazione del rapporto di fiducia”.

Il testo sarà oggetto di revisione costituzionale in Parlamento con la doppia lettura conforme da parte delle Camere e la maggioranza assoluta dei loro componenti, come è previsto dall’articolo 138 della Costituzione.

La legge entrerà in vigore definitivamente soltanto se, nella seconda votazione, avrà la maggioranza dei due terzi dei componenti di entrambe le Camere.

L’obiettivo, per la celerità e la determinazione di portare a casa un’idea di rafforzamento dell’esecutivo, è quello di evitare il referendum popolare confermativo.

Il ministro delle Riforme Istituzionali Elisabetta Casellati ha chiarito in più circostanze che la missione ideale di questa modifica risponde all’instabilità, che è figlia di una storia tutta italiana.

A questo punto gli interessi confliggenti, che possono però ricomporsi, dovrebbero dettare un’agenda nella quale l’impegno principale si sostanzi nel raggiungimento di un giusto compromesso fra le esigenze dei cittadini, le urgenze della società civile e i bisogni della Politica.

Oltre al premierato, cosiddetto (“all’italiana”), la proposta svela una norma anti-ribaltone in caso di sfiducia del Parlamento al premier eletto: il pallone dell’incarico passerebbe di fatto a un parlamentare eletto nella medesima squadra della coalizione che ha vinto le elezioni e che ne prosegua idealmente e concretamente il programma.

Si bloccano in questa maniera i governi tecnici, che imparziali non sono mai stati, perchè era connaturale che nutrissero, nella storia politica italiana, una sudditanza psicologica nei confronti della forza di opposizione al governo precedente; in seconda istanza i suddetti hanno sempre messo in evidenza una distanza siderale rispetto alle aspettative dei cittadini.

In ultima analisi più che di tecniche e competenze in passato abbiamo assistito alla gestione smisurata dello stapotere sic et sempliciter, con tecnicismi e tenacia nell’assoldarsi alle logiche dell’alta finanza europea ed internazionale. La deprimente esperienza di Mario Monti parla da sola. 

Una certa sinistra polemica per vocazione già intravede i pericoli di una presunta “dittatura fascista”: insomma ci sarà da ridere nel sentire i commenti dei prossimi giorni…

Banalizzando ma tentando di andare al cuore del problema potremmo dire che la stabilità origina la continuità anche per le riforme successive, per i cambiamenti sostanziali e per restituire un volto dignitoso e brillante al Bel Paese.

Non si tratta di una presa di posizione politica: i problemi internazionali, economici, interni sono sotto gli occhi di tutti; se desideriamo pensare e soprattutto pianificare una Italia altra è necessario recuperare l’entusiasmo del fare. E si pensa e si fa soltanto quando le impalcature e le fondamenta di una casa si reggono su dei principi cardine solidi.

Il Sole 24 offre un’ulteriore chiave di lettura: “… il premier eletto a suffragio universale e diretto dai cittadini per la durata di cinque anni può sì cambiare. Il capo dello Stato può incaricare un parlamentare candidato nella stessa coalizione del premier dimissionario o sfiduciato, ma solo una volta. Se fallisce anche il piano B, il presidente della Repubblica ne prende atto e scioglie le Camere. Un’aggiunta che, secondo i più critici, è un ulteriore colpo di accetta ai poteri del Quirinale. Oltre che rafforzare, implicitamente, il ruolo del premier subentrante: è lui che diventa cruciale per lo scioglimento del Parlamento, avendo in mano l’unica e ultima chance per la sopravvivenza del governo.”.

Come sempre vogliamo analizzare la problematica da tutte le possibili angolature, per avere una prospettiva di ampia visione di insieme: si discetterà tanto di questa riforma e sarà giusto e necessario sentire, ascoltare, percepire il parere di grandi costituzionalisti e giuristi.

Sarà funzionale la collaborazione delle menti più lucide e fini dell’opposizione: la costruzione passa dalla via del mutamento. La vita stessa è un alternarsi di cambiamento e conservazione.

Dentro la stabilità si potranno allora mettere in circolo il pensiero e l’azione e risollevare questo nostro Stivale.