Nel 1987 si costituisce a Mosca il primo nucleo dell’associazione Memorial, con la finalità dichiarata di promuovere la riabilitazione morale e giuridica delle vittime delle repressioni staliniane. Erano gli anni della perestrojka…
Memorial era composta da intellettuali e dissidenti che già prima – durante gli anni di piombo del regime sovietico – avevano fondato la storica rivista clandestina Pamjat (Memoria). Alcuni avevano pagato con la prigionia e i campi di lavoro. Il loro contributo e il loro sacrificio risulterà determinante per la nuova associazione, che si dedicherà alla ricerca storica per documentare in modo oggettivo la repressione comunista, con interviste ai sopravvissuti, ai parenti delle vittime, ai testimoni.
Memorial è l’equivalente russo dell’ebraico Yad Vashem per la commemorazione delle vittime del gulag.
Per un breve tempo gli storici di Memorial ebbero accesso agli archivi del KGB, con studi di grande valore storiografico, quali la prima ricostruzione del sistema concentrazionario sovietico.
Alla prima uscita pubblica di Memorial – nel 1988 – partecipò tra gli altri Andrej Sacharov, il fisico nucleare che aveva scontato un lungo confino per essersi opposto al programma nucleare sovietico. Con l’avvento di Boris Elsin, nel 1990, alla presidenza del soviet supremo della Russia, Memorial poté fare il salto di qualità, eleggendo alla Duma alcuni suoi rappresentanti: in quella specie di nuova primavera politica sembrava che le finalità dell’associazione potessero essere perseguite in sintonia con le istituzioni statali.
Nel 1991 venne fondato il Centro per la difesa dei diritti umani, con il compito di monitorare il rispetto dei diritti in Russia e di dare sostegno legale ai perseguitati.
Pur essendo autonomo da Memorial, il Centro collabora attivamente con l’associazione, nell’ottica che storia delle repressioni politiche e difesa dei diritti umani camminano di pari passo.
All’inizio degli anni duemila, con l’avvento al potere di Vladimir Putin, Memorial comincia ad essere guardata con sospetto, perché in controtendenza rispetto alla narrazione storiografica imposta dal nuovo regime: la versione ufficiale della storia – da insegnare nelle scuole di ogni ordine e grado – tende ad oscurare e soprattutto a minimizzare le repressioni staliniste; viene invece sempre più esaltato l’eroismo dei Russi nella “grande guerra patriottica”, come ormai viene chiamata la seconda guerra mondiale.
Per contrastare questa deriva autoritaria Memorial con le sue pubblicazioni e con i suoi incontri pubblici sottolinea come la dittatura comunista sia sempre stata accompagnata da repressioni politiche, sia prima che dopo il 1937, anno del “Grande Terrore” per antonomasia, con uccisioni di massa pianificate dal Partito.
Dopo le due elezioni del 2011 e del 2012, sempre vinte da Putin, il regime comincia ad attaccare in modo sistematico le organizzazioni indipendenti e la libera informazione. Viene così approvata la legge sugli “agenti stranieri”, una legge che impone a tutte le istituzioni, organizzazioni, organi di informazione che interagiscono con l’estero di registrarsi e di presentarsi in pubblico come “agenti stranieri”. Nel 2014 viene iscritto fra gli agenti stranieri il Centro per la difesa dei diritti umani, mentre nel 2016 è la volta di Memorial Internazionale.
Il peggio naturalmente doveva ancora arrivare. Nel 2018 e nel 2019 attivisti di Memorial sono arrestati e processati con vari pretesti giudiziari, alcuni tanto turpi quanto paradossali… Non mancano le condanne al carcere. Si arriva all’epilogo, in concomitanza con l’aggressione militare all’Ucraina: il 28 febbraio 2022, con sentenza definitiva, la Corte Suprema russa chiude Memorial Internazionale.
Il 4 marzo 2022, dopo l’ultima perquisizione nei locali dell’associazione, il segno Z viene scritto con una bomboletta spray: è un’offesa non soltanto a tutte le vittime dello stalinismo e del comunismo, ma anche alle migliaia di militanti per i diritti umani in Russia, nelle quasi cento sedi che Memorial aveva sul territorio russo: “… diritti umani e diritto alla memoria e alla verità storica rappresentano per l’autocrate Putin e per tutti coloro che lo difendono un richiamo quotidiano, che non poteva più essere accettato dal regime di Mosca.”.
Queste notizie sopra esposte e sinteticamente riassunte, sono riportate nel saggio di Francesca Gori presente nel volume “Ucraina. Assedio alla democrazia”, pubblicato a cura di Memorial Italia e uscito lo scorso 9 aprile quale supplemento al Corriere della Sera.