Dal Corriere della Seradel 25 Marzo 2024 l’analisi di Federico Rampini:
“L’uomo dei servizi segreti è stato tradito dalle sue spie? Vladimir Putin viene dal Kgb, l’intelligence dell’Unione sovietica, fu quello il suo trampolino verso il potere politico.
È sconcertante la lunga serie di fallimenti recenti dei suoi servizi segreti. Nel febbraio 2022, mentre lo Zar negava pubblicamente di voler invadere l’Ucraina, l’intelligence americana annunciava il suo attacco imminente: segno che a Mosca ci sono «talpe» pronte a tradire Putin?
Poi lo Zar fu colto di sorpresa dalla clamorosa rivolta della Divisione Wagner. Infine l’ultimo smacco, il più tragico per le sue conseguenze. L’intelligence Usa aveva avvisato Putin del rischio imminente di attentati dell’Isis.
Lui non solo aveva ignorato l’avviso, ma lo aveva platealmente sbeffeggiato. In un discorso pubblico che i russi oggi sicuramente ricordano, aveva liquidato quella preziosa informazione americana come un «ricatto», un tentativo di guastargli la festa della rielezione.
La strage di Mosca è avvolta da troppi misteri. Putin aveva appena celebrato un voto che sembrava confermare la solidità del suo potere assoluto, e di colpo è apparso come un leader che non ha il controllo della situazione, non sa garantire la sicurezza del suo Paese.
In una Russia che ormai lui dichiara ufficialmente «in guerra», e dopo gli avvertimenti Usa, lascia sconcertati l’assenza di poliziotti al concerto preso di mira dall’Isis.
La stessa polizia russa pronta ad arrestare un’anziana signora che manifesta dissenso con un innocuo foglio bianco, non c’era quando un commando di terroristi è entrato in azione per fare una carneficina.
Putin da parte sua ha atteso ben 19 ore prima di apparire in tv per parlare alla nazione.
Hanno reagito con più tempestività tanti leader occidentali, intervenuti a esprimere cordoglio e solidarietà.
Ora Putin cerca di rimediare al proprio terribile fallimento con le bugie. Il tentativo di collegare in qualche modo l’Isis all’Ucraina è ignobile oltre che insostenibile.
Però la Russia è «in guerra», da qualche giorno lo dice proprio lui, uscendo dall’ambiguità ipocrita della «operazione militare speciale» con cui aveva descritto a lungo la sua aggressione contro una nazione libera e indipendente.
L’orrore della strage, la sofferenza atroce inflitta a tanti innocenti, l’umiliazione patita da Putin, verranno gestite in questo nuovo clima marziale. Lo Zar anche stavolta farà pagare ad altri i suoi errori.
Nella sua paranoia, chissà come Putin rivisita la decisione dell’Amministrazione Biden, poi imitata da altri governi occidentali, di avvertirlo sui rischi di attentati?
Quali teorie del complotto starà rimuginando, per assolversi oppure per indottrinare il suo popolo? Che cosa inventerà per collegare all’Ucraina dei jihadisti le cui basi sono ben lontane da Kiev, in Afghanistan?
La soffiata di Washington, che avrebbe potuto salvare tante vite innocenti se fosse stata ascoltata, ha in realtà una spiegazione molto razionale. L’America sta cercando da tempo una via d’uscita dal conflitto ucraino.
Una soluzione puramente militare — anche quando ci si illudeva sulle «controffensive» annunciate da Zelensky — non fu mai considerata sufficiente; soprattutto dai maggiori esperti di guerra cioè i vertici del Pentagono (basta rileggersi cosa diceva in pubblico l’allora capo di stato maggiore generale Mark Milley nel settembre 2023).
L’offerta di un aiuto concreto e prezioso a Putin sul terreno dell’anti-terrorismo, rientrava in questa logica: trovare dei terreni di cooperazione, dei canali di dialogo, pur evitando di «svendere» il popolo ucraino all’aggressore.
La politica estera si fa anche in questo modo. Un’America che spesso descriviamo inadeguata — in Medio Oriente e altrove — o alla vigilia di un’Apocalisse elettorale il 5 novembre, continua in realtà ad applicare una certa razionalità alla sua azione internazionale.
Così fa l’Occidente nel suo insieme. Offrire informazioni a Putin per prevenire un massacro di civili russi era al tempo stesso la cosa giusta da fare eticamente e l’azione più astuta politicamente.
È tragico che lui l’abbia trasformata in un’altra occasione di risentimento, sospetti, odio.
D’altronde gli americani stavolta si sono ricordati del «miglior Putin» (prima della deriva paranoica, prima della sindrome patologica da «accerchiamento»): colui che agli albori della sua carriera da presidente offrì sincera cooperazione agli Stati Uniti contro Al Qaeda subito dopo l’11 settembre 2001.
Era logico allora, resta logico oggi, fare fronte comune contro un nemico che ci vede tutti uguali.
Perché il mondo osservato attraverso il fanatismo islamista dell’Isis è molto diverso da come lo rappresentiamo noi. L’Isis fece strage due mesi fa in Iran: colpevole di essere sciita. A Putin non perdona l’appoggio che fornisce al regime di Assad, o la guerra in Cecenia.
Tutti siamo nel mirino, dobbiamo stare in guardia e tornare ai massimi livelli di vigilanza.
Alla Russia fu offerto un ramoscello d’ulivo e un avviso salva-vita, averlo ignorato si aggiunge al lungo elenco dei crimini di Putin contro l’umanità: inclusa la sua popolazione.”.
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