UNITA’ D’ITALIA: CHE COSA ABBIAMO CELEBRATO? (1^ parte)

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Francesco II di Borbone e Vittorio Emanuele II: sconfitti e vinti di una tragica guerra civile

Alcune settimane fa il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chiudeva ufficialmente le celebrazioni del 150°. A sipario calato, intendiamo offrire qualche spunto di riflessione sull’argomento “unità d’Italia”, traendolo dagli scritti di accademici e giornalisti autorevoli.

Iniziamo questa breve carrellata da Giampaolo Pansa, giornalista e scrittore di successo.

Riprendendo con il filo della memoria i racconti trasmessigli dai propri avi (fonti storiche orali, di dignità non certo minore rispetto a quelle scritte!), ha di recente  pubblicato per la Rizzoli “ Poco o niente. Eravamo poveri. tornenremo poveri“.

Riportiamo di seguito alcuni brani del libro sull’argomento che qui ci interessa.

A proposito di celebrazioni: “…Al momento della nascita di Giovanni (nonno di Pansa, ndr), l’unità d’Italia si era compiuta da due anni, nel 1861. Nell’ipotesi surreale che il mio nonnno paterno fosse stato ancora in vita nel 2011, si sarebbe stupito delle tante celebrazioni di quell’evento. L’Italia unita? Nessuno si era premurato di informarlo e non ne aveva mai sentito parlare. Forse non sapeva neppure di essere italiano. A una domanda in proposito, avrebbe risposto di essere uno di Pezzana o, al massimo, un vercellese. Anche l’idea di essere piemontese poteva suonargli estranea…”

E a proposito di emigrazione: “Nel 1869-‘70 gli emigranti erano stati 121.000, di cui 99 mila verso l’Europa e i Paesi del Mediterraneo e 22 mila per i Paesi al di là dell’Oceano. Anno dopo anno, questa ripartizione si rovesciò. Fra il 1886 e il 1890 gli espatri erano quasi raddoppiati, diventando 221 mila, dei quali 90 mila in Europa e nei Paesi mediterranei e ben 131 mila nelle due Americhe. Nel periodo fra il 1896 e il 1900 gli espatri erano ancora saliti a 310 mila: 148 mila in Europa e 162 mila nelle due Americhe. Se in una stessa località erano in tanti a partire insieme , lasciavano il paese incolonnati, preceduti dalla banda e dal gonfalone comunale, tra due ali di gente con il magone, mentre il parroco suonava le campane. I parenti e gli amici li accompagnavano alla stazione ferroviaria, in attesa del treno che li avrebbe condotti a Genova e all’imbarco per una delle due Americhe.”

A proposito di Garibaldi: “Al contrario di quanto si sostiene, dell’Eroe dei due mondi ai poveri non importava niente. Nel caso migliore, veniva ritenuto un tipo capace soltanto di combinare guai. La sua spedizione in Sicilia non era servita a nulla se non a portare nel Regno d’Italia un’altra moltitudine di bocche da sfamare. Da ragazzino, quando le parlavo di Garibaldi, la nonna Caterina ringhiava: ”In casa nostra di poveri ce n’era già quanto bastava, non valeva la pena di tirare su da noi quelli della Sicilia e di Napoli.” La sua insofferenza per Garibaldi traspariva anche da una poesiola beffarda che lei recitava. Faceva così: “Garibaldi ferito a Marsala? O che bala, che bala, che bala!”. Voleva dire che era soltanto una balla, una bugia inventata da chi aveva interesse a farlo. Per trasformare in un eroe un avventuriero con la camicia rossa…” (pag. 57).

A proposito di Patria e Re: “La Patria eil Re? Erano fantasmi lontani, figure astratte e ignote a chi viveva di poco o niente. Soltanto i ricchi potevano accendersi di passione nel sentirli nominare. Per molta gente la patria era appena una parola vuota. Quanto al Re, faceva un solo mestiere: la guerra. Nel senso che ordinava ai poveracci di farsi ammazzare per conto suo, nel nome di casa Savoia. Le famiglie in miseria avevano ben altro per la testa…”.

Lo spaventoso aumento delle tasse sui generi di prima necessità, determinato dalle spese di guerra per armare il nascente esercito italiano, causò una povertà endemica, aggravata dal diffondersi di violente epidemie: “Avvenne così per la tassa sul macinato, decisa nel maggio 1868…Il disavanzo dello Stato era salito alle stelle dopo la terza guerra d’indipendenza. E per rimediare in parte a quel buco venne decisa una nuova imposta. A partire dal 1° gennaio 1869, chi si presentava a un mulino doveva pagare al mugnaio una tassa impossibile da evitare…Quando la tassa sul macinato, subito definita la tassa sulla fame, entrò in vigore, i poveri si ribellarono.”

Così che: “…Non tutto si svolgeva nel clima descritto in un libro diventato subito famoso: Cuore di Edmondo De Amicis. Un romanzo dato alle stampe nel 1886 che ebbe subito un successo travolgente, con ben 40 edizioni nello stesso anno…Nel 1888 l’Italia era molto diversa da quella ritratta in Cuore.”

Il Risorgimento fu molto diverso da quello ritratto dal 150°. Ne riparleremo.

1) continua

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