IL REGNO DELLE DUE SICILIE FU SCONFITTO DAI TRADITORI (Corriere del Giorno, 16 marzo 2008, pag.6)

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bandieragaribaldina.gif Nell’attuale panorama culturale e politico, Lega Nord ed MPA (Movimento per le Autonomie) rappresentano un segno – certamente non l’unico – del diffuso desiderio di autonomia e, allo stesso tempo, di insofferenza per lo Stato elefantiaco e centralista.

Per molti tale malessere ha radici lontane. Il 1859 è l’anno cruciale. Forte dell’appoggio francese, il Piemonte con alcuni stratagemmi si fece dichiarare guerra 4seohunt.com/www/www.recensioni-storia.it. dall’Austria: è l’inizio di un’operazione politico-militare che nell’arco di venti mesi condurrà al nuovo Regno d’ Italia e all’eliminazione della precedente dimensione regionale.

Ne parliamo con il Professor Roberto Martucci, ordinario di Storia delle Istituzioni Politiche alla Facoltà di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali dell’Università del Salento.

 

 

Professor Martucci, durante quegli avvenimenti, passati alla storia come 2^ guerra di indipendenza, gli Italiani si trovarono a combattere su fronti diversi. Nel suo libro “L’invenzione dell’Italia unita” Lei ricorda, fra l’altro, l’atteggiamento tenuto dagli Italiani del Lombardo-Veneto, che non fu proprio di entusiasmo per i Piemontesi e per Vittorio Emanuele II …

 

“Nel mio libro mi riferisco ai lombardi, visto che le armate franco-sarde in Veneto non riuscirono neppure ad arrivare. Le fonti ci dicono che fra i contadini lombardi nel 1859 non c’era più quello spirito anti-austriaco che invece animò la prima guerra d’indipendenza, nel 1848. I contadini lombardi non solo rimasero indifferenti all’avanzata dei piemontesi e dei loro alleati francesi, ma addirittura, quando poterono, ne depredarono gli zaini… La borghesia cittadina, dal canto suo, si accorse presto che la confluenza nel programmato Regno dell’Alta Italia risultava penalizzante per la Lombardia. Senza neanche convocare una Costituente e senza neppure una parvenza di consultazione, unico caso fra gli Stati pre-unitari, l’annessione avvenne comunque, e alla Lombardia fu estesa, sic et simpliciter, la vigente legislazione piemontese. “

 

La Società Nazionale guidata da Giuseppe La Farina e manovrata da Cavour riuscì a far scoppiare nei ducati dell’Italia centrale (Toscana, Modena, Parma e Piacenza) moti popolari che allontanarono i vecchi sovrani e si pronunciarono per l’annessione all’Italia. Lei però nel suo libro mette in dubbio la “spontaneità” di quei moti, che invece sarà poi celebrata dall’iconografia risorgimentale…

 

 

La Società Nazionale si servì di agenti provocatori per far scoppiare falsi moti di piazza. Nel Gran Ducato di Toscana i provocatori furono addirittura rinforzati da poliziotti piemontesi, infiltrati e travestiti da popolani. Prova ne è che la Società Nazionale, corpo estraneo alla realtà dell’Italia centrale e senza alcun seguito popolare, non riuscì mai ad organizzare azioni di guerriglia degne di questo nome nei confronti degli Austriaci. Il piano di annessione comunque andò avanti perché gli Austriaci persero la guerra e ritirarono le loro truppe dai piccoli ducati, truppe presto sostituite da quelle piemontesi. Quanto alla Toscana, i vertici dell’esercito si consegnarono in massa al Regno di Sardegna.“

 

 

Scendiamo nel nostro Sud. Nel suo libro scrive che “Garibaldi…considerava con estremo distacco la questione di un coinvolgimento politico delle masse meridionali da perseguire tramite l’attivazione di meccanismi elettorali.”

Che considerazione dunque aveva Garibaldi per le masse del Mezzogiorno, specie per quelle contadine ?

 

 

“Nessuna. Garibaldi riteneva che solo attraverso lo strumento militare si potesse giungere all’Unità d’Italia. Era convinto che elezioni e parlamento non servissero a nulla, e anzi fossero un ostacolo a quel progetto. Quindi era robustamente antiparlamentare: nel gennaio del 1860 propose a Vittorio Emanuele II un colpo di stato militare, invocando la dittatura per l’Italia. Ma Cavour gli impose l’organizzazione dei plebisciti in Sicilia e nel mezzogiorno continentale, anche perché quella era la ricetta liberale che veniva d’Oltralpe, cara all’Imperatore Napoleone III e che quindi andava rispettata ad ogni costo. Quanto al coinvolgimento delle masse contadine, la promessa garibaldina di distribuire le terre demaniali, ma non certo quelle dei privati latifondisti, fu frutto del suo grande fiuto politico. Di fatto i suoi luogotenenti, una volta defenestrati i Borboni, fucilarono i contadini che reclamavano quanto promesso. “

 

 

A tal proposito, chi furono esattamente i “picciotti” siciliani?

 

 

“I picciotti erano dei para-mafiosi: squadre armate che obbedivano agli ordini dei grandi latifondisti siciliani, come il barone Sant’ Anna di Alcamo. E’ interessante notare come essi si mossero soltanto dopo la prima decisiva battaglia di Calatafimi. Il giorno dello scontro si limitarono a fare gli spettatori, guardando come andava a finire tra Garibaldi e il generale Landi. Si schierarono solo dopo la disfatta borbonica, massacrando reparti di soldati borbonici ormai allo sbando, depredando e tagliando i fili del telegrafo… Comunque quando Garibaldi giunse a Messina, i picciotti si fermarono, rifiutando di far si arruolare e di proseguire oltre lo stretto. “

 

 

Quale ruolo, in base alle sue ricerche, ebbe la massoneria nella debacle del Regno delle Due Sicilie?

 

 

“Un ruolo tutto sommato marginale. La massoneria allora era molto presente ed attiva in Francia, in Inghilterra, in Germania, e anche in Sudamerica, dove probabilmente fu iniziato Garibaldi, ma non in Italia. D’altronde nella penisola già funzionavano la Carboneria e la Giovane Italia. Il quadro cambiò dopo l’unità, quando ex garibaldini, come per esempio Francesco Crispi e Agostino Depretis, diventeranno elementi di spicco della massoneria.

Il rapido crollo del Regno delle Due Sicilie si deve invece soprattutto ai tradimenti politici dei vertici militari: di quelli della marina innanzitutto, ma anche dell’esercito. Il generale Landi, il generale Pianel, il generale Nunziante… “

 

Parliamo dei soldati semplici borbonici fatti prigionieri dai Piemontesi. Non se ne sa molto. Che fine fecero?

 

“Tutti quelli che combatterono sino alla fine nelle fortezze di Gaeta, di Capua, di Civitella del Tronto, di Messina, ma anche molti altri, furono internati in massa a Genova, a Campo San Maurizio vicino Torino, a Fenestrelle, sulle Alpi, e in altri campi di prigionia della Lombardia. Ne tratta tematicamente Fulvio Izzo nel suo recente libro “I lager dei Savoia”. All’epoca dei fatti invece ne parlò la “Civiltà Cattolica”, la rivista dei Gesuiti, che denunciava le terribili condizioni di vita degli internati. Non si sa con precisione quanti di quei ragazzi meridionali, non abituati ai rigori invernali del Nord, riuscissero a sopravvivere. Fenestrelle, per esempio, si trova sulle Alpi a duemila metri di altezza: era soltanto un presidio militare, assolutamente non attrezzato a funzionare come carcere di massa. Non è inverosimile pensare ad un tasso di mortalità estremamente elevato. “

 

 

Professore, Lei ha recentemente partecipato ad una due giorni di manifestazioni a Gaeta sul tema:Garibaldi. Bilancio di un bicentenario”. Allora, quale bilancio a duecento anni dalla nascita dell’ Eroe dei due mond i?

 

“Un bilancio strettamente celebrativo. Le iniziative istituzionali non sono mancate, ma hanno avuto pochissima attenzione e nessun seguito da parte della gente. In pratica si è trattato di un flop.

 

Per concludere: l’invenzione dell’Italia unita. Poteva andare diversamente?

 

“Solo se il 1848 fosse andato diversamente, e cioè in senso federalista. Ma una volta scattata l’operazione militare non poteva che essere così: una guerra di conquista, in cui il Mezzogiorno pagò il prezzo più alto.”

1 commento

  1. e del coinvolgimento inglese nella guerra per la conquista del sud cosa può dirmi professore ?

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