IL SULTANO E L’ISOLA CONTESA: CIPRO TRA EREDITA’ VENEZIANA E POTERE OTTOMANO

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Nel 1570 la volontà di prendere possesso di Cipro convinse il sultano ed ampi settori della corte ottomana a procedere alla conquista militare dell’isola, infrangendo unilateralmente gli accordi di pace che duravano da 30 anni e che legavano diplomaticamente l’Impero musulmano alla Serenissima. Lo scontro, il cui esito fu reso scontato dalla sproporzione delle forze e dal mancato intervento della flotta veneziana, si prolungò oltre i margini di sostenibilità offerti dal territorio, provocando un consistente calo demografico e una crisi economica diffusa.

La descrizione di questa guerra e delle sue tragiche conseguenze ci viene presentata dal prezioso volume di Vera Costantini: “Il sultano e l’isola contesa. Cipro fra eredità veneziana e potere ottomano” (Utet, 2009, pagg. 239, euro 23,00).

Vera Costantini è docente di lingua e letteratura turca all’Università Cà Foscari di Venezia ed è autrice di diversi articoli sulle relazioni diplomatiche intercorse tra Venezia e l’Impero ottomano. E’ dunque studiosa di grande rilievo e il libro in questione è il frutto delle sue ricerche svolte direttamente sulle fonti, tanto veneziane che turche, in un attento e complesso lavoro di comparazione storiografica.

Nel primo capitolo (“Le frontiere dell’equilibrio”) l’Autrice delinea la cronaca di una pace infranta. La conquista dell’isola rispondeva al grande progetto egemonico dei Turchi, progetto volto alla progressiva espansione verso Occidente: la presenza dei Veneziani alle porte di casa era dunque considerata qualcosa di intollerabile.

Anche perché a Cipro sussisteva un invidiabile situazione di pace e di prosperità, dove l’elemento greco conviveva bene integrato con quello latino (quest’ultimo era di origine veneziana ma pure francese, e cioè discendente dell’antica aristocrazia crociata).

Cipro era ricca per le sue colture, in particolare per quelle specializzate (il cotone) e per le manifatture; essendo inoltre un ponte naturale verso l’Oriente ottomano costituiva un centro essenziale per lo smistamento dei traffici marittimi e dei commerci. Venezia negli anni che precedettero la guerra fu attentissima a non cagionare il benché minimo movente di attrito; in particolare garantiva la tranquillità dei traffici navali degli Ottomani, stroncando sul nascere ogni forma di pirateria che potesse infasti dire gli Islamici. Nonostante ciò i Turchi presero a pretesto dell’intervento militare proprio la presunta insicurezza del braccio di mare dinanzi a Cipro, che i devoti musulmani attraversavano nei loro frequenti pellegrinaggi verso Gerusalemme e la Mecca. La diplomazia veneta fece l’impossibile per scongiurare una guerra che si presentava disastrosa; ma i preparativi turchi procedevano alacremente.

Nel secondo capitolo (“Assedianti e assediati”) si giunge così alla guerra, che da entrambe le parti viene preparata con ogni possibile sforzo. Venezia consapevole dell’ineluttabilità degli eventi fortifica le principali città cipriote: la capital e Nicosia e il porto di Famagosta. Istanbul mobilita le proprie forze, dai Balcani all’Egitto: un grosso esercito sbarcherà a Limassol il 2 luglio 1570, senza incontrare resistenza. Nonostante le promesse fatte dai Turchi alla popolazione locale – un trattamento diverso da quello minacciato ai resistenti Veneziani -, i contadini ciprioti per lo più si rifugiarono nelle fortezze veneziane, per condividere la medesima sorte patita dagli aristocratici, dai mercanti e dai soldati della Serenissima. Altri si rifugiarono sulle montagne, ma quasi nessuno appoggiò l’avanzata ottomana: “La guerra costituì il banco di prova della collaborazione veneto-cipriota, che risultò peraltro tristemente, ma indiscutibilmente, confermata dall’eccidio e la deportazione di gran parte della popolazione, all’indomani della caduta delle città e, su un piano più strutturale, dallo spopolamento delle campagne” (pag. 64).

Se qualche caso di tradimento e di passaggio nelle fila del nemico si registrò, esso riguardò pochi giovani rampolli della locale aristocrazia, che pur di conservare gli antichi privilegi non esitarono a convertirsi all’Islam.

A dimostrazione della connotazione religiosa della conquista, va ricordato che “… Due giorni dopo lo sbarco di truppe e cannoni, il 4 luglio 1570, Lala Mustafa Pascia procedette a un primo segno di appropriazione del territorio: la chiesa della Santa Croce di Larnaka fu convertita in moschea.” (pag. 61).

La resistenza veneziana si concentrò principalmente nelle città fortificate di Nicosia e di Famagosta, che furono assediate, prese e saccheggiate.

Un registro ottomano testimonia che in occasione del saccheggio a Nicosia, caduta il 9 settembre 1570, furono catturati ben 13.719 prigionieri, un numero superiore a quello dell’esercito invasore.

I superstiti, specialmente donne e bambini fatti prigionieri, vennero inviati ad Istanbul e nelle altre città dell’Impero ottomano, dove furono venduti al mercato degli schiavi. L’Autrice racconta che tuttavia molti di quegli sventurati morirono nelle galere durante il viaggio in mare.

Ma anche i villaggi della campagna non furono risparmiati dai saccheggi. A Cipro monaci e preti, sia ortodossi che latini, furono per lo più massacrati nelle chiese. Famagosta fu l’ultima città ad arrendersi, dopo oltre un anno di assedio e solo quando i difensori stremati ebbero terminato tutte le munizioni. L’eroico Capitano Marcantonio Bragadin fu “…scuoiato vivo davanti alla cattedrale di San Nicola. Il vuoto involucro del suo corpo venne fatto sfilare in una macabra parodia…”. (pag. 74).

Le belle chiese gotiche cipriote vennero trasformate in moschee o ridotte ad un ammasso di ruderi, e tali sono ancora oggi quelle che si trovano nella zona di influenza turca.

Venezia pagava così il conto della sua decennale politica di acquiescenza all’Impero ottomano, essendosi più volte defilata nei momenti cruciali dello scontro fra la coalizione degli Stati cristiani (Lega Santa) e l’Impero ottomano. Ciò era accaduto, per esempio, durante l’assedio di Malta del 1565, quando la Serenissima, come altre volte in passato, aveva preferito tutelare i propri commerci con i Turchi piuttosto che sostenere i Maltesi duramente assediati.

Un anno dopo la caduta di Cipro, la Lega Santa – questa volta con l’attiva partecipazione di Venezia – riporterà un’importante vittoria nelle acque greche, a Lepanto. Quella battaglia, pur di per sé non determinante, segnerà l’inizio del declino della potenza ottomana.

Ma come si svolse la colonizzazione musulmana di Cipro? L’Autrice risponde a tale domanda nei successivi capitoli (“Lo spazio e i suoi abitanti”, “Fiscalità e risorse”, “Portualità e commercio”).

L’analisi dei documenti amministrativi e finanziari relativi ai primi tre decenni di governo ottomano consente di misurare gli effetti del conflitto sul territorio e sulla società, individuando in particolare la scomparsa dell’aristocrazia veneto-cipriota e del clero latino dall’isola. Quello ortodosso invece si riorganizzò e i suoi membri divennero gli interlocutori privilegiati del nuovo regime. Ciò d’altronde accadeva anche ad Istanbul. Determinati a superare la crisi economica dovuta alla devastazione della guerra, gli Ottomani operarono una ridistribuzione del territorio dal punto di vista fiscale ed amministrativo e realizzarono il ripopolamento dell’isola con contadini fatti giungere forzatamente dall’Anatolia (pagg. 114-115). I Turchi inoltre aprirono i porti di Cipro ai mercanti europei, privilegiando Francesi, Inglesi ed Olandesi a scapito dei Veneziani, considerati ancora – in quanto potenza limitrofa – quali “nemici” da conquistare ed inglobare nell’Impero della Mezzaluna (ai Veneziani restava ancora il possesso di Creta e di altre isole dello Jonio).

La conquista ottomana di Cipro e la sua integrazione nell’ecumene imperiale sanciva così la fine del predominio veneziano nel commercio con l’Oriente.

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