UCCISI DUE VOLTE DAL TERRORISMO (Corriere del Giorno, 17 giugno 2008, pag.5)

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moro.jpgUccisi due volte. Dal piombo, prima. Dal silenzio, poi. Sono le vittime del terrorismo rosso e nero. 356 morti. Caduti di una guerra dichiarata da una sola parte. Rischiano di venir ammazzati una terza volta. Dall’arroganza degli assassini e dall’oblio dei giusti.”

Così inizia il libro di Renzo e Domenico Agasso, padre e figlio con la medesima passione per il giornalismo e per la ricerca storica seria e puntuale.

Il volume (Il piombo e il silenzio. Le vittime del terrorismo in Italia, Edizioni San Paolo, 2008, pagg. 240, euro 15,00) con le sue amare riflessioni si inserisce di diritto nel dibattito nazionale sugli effetti del ’68 a quarant’anni di distanza. E fra gli effetti del ’68 ci sono soprattutto loro: i caduti.

Uccisi due volte. Dal piombo, prima. Dal silenzio, poi…”. Questa dura requisitoria precede l’elenco, stilato in ordine cronologico, di tutte le vittime delle stragi e degli attentati per terrorismo in Italia, dal 1967 al 2003, anno in cui venne registrata l’ultima uccisione. Anno per anno, le brevi storie dei caduti scorrono formando una sequenza impressionante. Non è stato facile, riferiscono gli Autori, ricostruire l’elenco degli assassinati dal terrorismo, perché ancora oggi non esiste una lista ufficiale. Così Renzo e Domenico Agasso hanno dovuto far ricorso alla loro personale memoria, ai giornali, ai libri, ad internet e, soprattutto, all’archivio dell’Associazione Italiana Vittime del Terrorismo, che ha sede a Torino.

A che serve oggi questo tipo di ricostruzione storica ? Serve, perché dopo il piombo degli assassini e l’oblio delle istituzioni una terza morte minaccia quei caduti: l’arroganza degli “ex”. Ex brigatisti, ex leader di Lotta Continua e di Prima Linea, scontati brevi periodi di carcere, in questi anni si sono affaccendati tra redazioni di grandi giornali e cattedre universitarie, studi televisivi e scranni parlamentari. Con contorno di ossequi, targhe e cittadinanze onorarie … Mentre i caduti sono dimenticati e le famiglie piangono, sole, i loro morti. Ci sono voluti 30 anni perché il 9 maggio divenisse il giorno della memoria delle vittime del terrorismo.

Renato Curcio, si sa, è uno degli ospiti più corteggiati delle università italiane. Molti altri hanno ricevuto incarichi pubblici come “consulenti”: “L’ex brigatista Roberto del Bello, già consigliere provinciale di Rifondazione, è stato consulente del compagno di partito Francesco Bonato, sottosegretario agli Interni. Mario Moretti ha consigliato la Regione Lombardia. Silvia Baraldini il sindaco di Roma Walter Veltroni. Renato Curcio, Prospero Gallinari, Alberto Franceschini, Valerio Morucci e Adriana Faranda pubblicano libri e ricevono premi”. (pagg. 26-27).

Silvia Baraldini, condannata a 43 anni di carcere per attività eversiva negli Stati Uniti e da lì estradata con la promessa dell’allora Ministro della Giustizia – Oliviero Diliberto – di farle scontare la pena in Italia, è stata rimessa in libertà grazie all’indulto, primo atto del governo Prodi.

C’è anche chi il carcere non l’ ha mai visto. Sono i molti ex brigatisti che hanno trovato un posto al sole, soprattutto in Francia – prima dell’era Sarkozy – grazie alla “dottrina Mitterand”, che per principio precludeva l’estradizione in Italia dei terroristi; lì non solo si sono rifatti una vita, ma qualcuno, come Cesare Battisti, ha avuto tempo e opportunità di diventare scrittore famoso di libri gialli.

Forse non è un caso che l’attrice francese Fanny Ardant, attesa a Venezia nel 2007 per la presentazione di un suo film, rilasciò dichiarazioni sulle Brigate Rosse e sul loro fondatore Renato Curcio che in qualche misura riflettono il fascino che un certo terrorismo rosso ha esercitato, da sempre, su una certa parte della cultura francese.

Le vittime, si sa, non hanno colore. Ma se una differenza c’è fra terrorismo rosso e nero, consiste proprio nel trattamento riservato agli omicidi di ieri: “I terroristi neri, a Dio piacendo, sono scomparsi e nessuno offre loro cittadinanze onorarie. Adesso gli unici neri che fanno paura sono quelli che vanno allo stadio con i bastoni, avendo infiltrato molte tifoserie. Segni dei tempi: i rossi in cattedra, i neri alla partita…” (pag.33).

La benevolenza verso ex brigatisti e compagni nasce da una presunzione di indulgenza culturale imperante nell’intellighentia del nostro Paese, da una sorta di snobismo letterario, da una civetteria da clan intellettuale (pag.30): “Sì, purtroppo in quest’Italia schizofrenica le brigate rosse non moriranno mai. Ci sarà sempre qualche compagno che sbaglia. Sapendo di farla franca. E di finire, magari, in parlamento o al governo… Perché? Prima ragione: come sostiene Pansa, la sinistra non ha fatto mai veramente i conti con la sua storia, soprattutto quella degli anni di piombo e del fango. Seconda ragione: perché in Italia il comunismo è vivo e lotta insieme a noi. Ci sono almeno dieci sinistre, dal rosa al profondo rosso…” (pag.31).

Ed è così che i “cattivi maestri” dettano di nuovo il tempo della politica: Oreste Scalzone, nemmeno un giorno di carcere grazie alla “dottrina Mitterand”, dalla Francia è tornato in Italia dove la pena è ormai prescritta. Condannato a suo tempo per partecipazione ad associazione sovversiva, banda armata e rapina, lo troviamo oggi in prima fila fra i rivoltosi della Campania che protestano contro le discariche, mentre rilascia interviste e aizza all’insurrezione. Sul Corriere della Sera di lunedì 26 maggio 2008, così commenta a proposito della discarica di Chiaiano: “Sento odore di sgherri che portano ordini e promettono pulizia, quasi stessero facendo una pulizia etnica … o si piega la testa o si risponde con guerra alla guerra …”.

Della serie: il lupo perde il pelo ma non il vizio.

Allora hanno proprio ragione Renzo e Domenico Agasso: “L’unica certezza della pena, in Italia, è quella dei morti e dei loro cari. Per i quali il fine pena è mai ” (pag.34).

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