UNITA’, RISORGIMENTO E QUESTIONE MERIDIONALE: UNA RIFLESSIONE OLTRE LA RETORICA FILO-RISORGIMENTALE (di Vincenzo Pitotti)

1253

Intervista a Francesco Pappalardo, autore del libro “Il mito di Garibaldi” .

 

 

 

"Il mito di Garibaldi", di Francesco Pappalardo (Sugarco Edizioni)

 

Passato il momento clou delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia e tentando una pacata riflessione sugli avvenimenti storici del cosiddetto Risorgimento, è necessario anzitutto andare oltre la retorica filorisorgimentale e ricordare che il processo di unificazione nazionale  si svolse attraverso una lunga serie di eventi sanguinosi e drammatici.

Un importante strumento di approfondimento e riflessione è stata la quinta edizione di Sfide culturali e politiche, incontri culturali ideati dall’onorevole Alfredo Mantovano, quest’anno interamente dedicati al tema del Risorgimento e che hanno visto la partecipazione di illustri relatori tra i quali lo scrittore Gigi Di Fiore, lo studioso di storia Francesco Pappalardo  la giornalista del quotidiano Il Foglio Marina Valensise, il senatore Gaetano Quagliariello e il Ministro Roberto Calderoli.

A Francesco Pappalardo, autore del  libro “Il mito di Garibaldi”, Sugarco 2010, abbiamo rivolto alcune domande.

– D. Sono ormai iniziate le celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità nazionale e la discussione culturale e politica si sta animando sempre più, specie quando si parla del ruolo del Mezzogiorno nel Risorgimento. Lasciando da parte i toni per certi versi un po’ troppo retorici delle celebrazioni, qual è la Sua tesi sull’argomento?

– Per quanto riguarda il Mezzogiorno, purtroppo rientra nei perdenti dell’unificazione italiana, rientra fra gli sconfitti e quindi nella questione meridionale che è una questione culturale più che economica, perché non soltanto ha dovuto subire una parziale spoliazione economica, non soltanto, come dicono oggi gli storici dell’economia, ha visto interrompersi il suo sviluppo, tant’è che il divario tra nord e sud, che non esisteva al momento dell’Unità, si è accentuato sensibilmente nei decenni successivi, ma soprattutto è stato spogliato della propria identità.

Alcuni riassumono la vicenda risorgimentale per il Mezzogiorno nella grande emigrazione, non soltanto quella del 1880 ma anche quella del 1950, indicando simbolicamente una realtà effettiva, cioè il fatto che il Paese è stato disarticolato non soltanto dal punto di vista poro e geografico, ma anche dal punto di vista della popolazione che colpita duramente negli interessi materiali, ma anche nella propria identità per l’affermazione prepotente di una realtà non estranea, nordica, ma rivoluzionaria, perdette tutti i punti di riferimento e attraversò quella crisi che ancora oggi perdura e costituisce appunto la questione meridionale.

– Da più parti si afferma che l’Unità fu necessaria in quanto Stati e staterelli non servivano a nulla, non esisteva una Nazione italiana e tanto meno una identità nazionale. Peraltro, il Regno delle Due Sicilie, il regno più grande di tutta la penisola, fu ritenuto e ancora oggi molti storici continuano a descriverlo come un regno retrogrado e molto malandato. Secondo Lei, la situazione era proprio questa ?

– Tutte queste domande ruotano intorno ad  un concetto fondamentale e cioè la negazione della nazione italiana. Va ricordato che alla data del 1860, sebbene esistessero tanti Stati italiani, esisteva una nazione italiana le cui origini risalivano intorno al XII-XIII secolo e che aveva una sua identità peculiare e pertanto l’Unità non fu affatto resa necessaria dall’assenza della nazione italiana, che esisteva da molti secoli, quanto piuttosto da problemi di politica internazionale che rendevano difficile la sopravvivenza dei piccoli Stati di fronte all’aggressività dei grandi Stati dell’età moderna. L’unico Stato che aveva realmente una sua rilevanza quantitativa e anche culturale era proprio il Regno delle Due Sicilie, che non era né retrogrado, né malandato e forse proprio per questo dovette patire le conseguenze dell’Unità, forse perché essendo l’unico organismo realmente dotato di individualità e di personalità, non poteva facilmente integrarsi in un organismo altro che aveva altre caratteristiche da un punto di vista culturale e istituzionale.

Quindi la Nazione italiana esisteva, semmai il dramma del Risorgimento e cioè quel processo culturale che ha fatto séguito all’Unità, è stato lo scontro tra la concezione astratta di quanti hanno fatto il Risorgimento, i quali immaginavano che una volta fatta l’Italia dovevano essere fatti gli Italiani e gli Italiani veri che esistevano e che non amavano essere amalgamati con la violenza all’interno di una realtà istituzionale del tutto nuova e rivoluzionaria.

– D. Sui testi di storia scolastici e universitari, abbiamo sempre letto che tra i cosiddetti Padri della Patria, vi sono Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele II° e soprattutto Giuseppe Garibaldi. Lei che ha approfondito la figura di questo personaggio storico, fu realmente un grande eroe? Quale giudizio storico emerge  dai suoi studi ?

– Mi rendo conto che è facile ed è diventata quasi una moda parlare male di Garibaldi. Piuttosto che parlare male di Garibaldi, preferisco dire di lui quanto ancora non è stato detto, non tanto ad esempio sulla reale partecipazione popolare alle sue spedizioni, oppure sulla natura poco gradevole dei soldati che combattevano con lui o sulle modalità di fare guerre e guerriglie bensì, mi soffermo, su un aspetto poco conosciuto di Garibaldi educatore e pedagogo. Ciò si ricollega a quanto ho detto prima e cioè la differenza tra Unità e Risorgimento: l’Unità come fatto incontestabile, il Risorgimento invece come processo culturale, per cui coloro i quali fecero l’Unità d’Italia vollero non soltanto realizzare l’unificazione ma procedere ad un rinnovamento politico e morale degli Italiani. E Garibaldi fu proprio uno dei protagonisti di quest’opera di pedagogia nazionale, volta appunto a disfare gli Italiani

Da qui nasce quell’atteggiamento, a molti ignoto, di Garibaldi, che percorrendo la penisola aizza i suoi  pochi ascoltatori contro la Chiesa e contro tutto quanto vi è di religioso in Italia, ostilità che in lui risale sin dalla gioventù ed è connaturato alla sua filosofia e alla sua appartenenza massonica.

Inoltre, un Garibaldi che diffondeva catechismi laici, in cui egli è il protagonista e sostituisce il Redentore, celebrava battesimi e matrimoni in modo laico, in nome dell’Italia, di Vittorio Emanuele II o in nome di sé stesso; inoltre diffondeva immagini e santini in cui egli era ritratto con un’aureola e cercò di utilizzare machiavellicamente tutti gli elementi propri della religione cattolica, per sostituire questa religione con un ethos civile alternativo. Tutto ciò fa si che la sua icona è un’immagine non proponibile oggi, in quanto si tratta di un personaggio che è nato per dividere da un punto di vista culturale e non per unire, come sarebbe opportuno fare nell’ambito di queste celebrazioni per il centocinquantenario.

Sposarne e accettarne l’icona, significherebbe accettare una falsa e ideologica nozione di italianità che è in contraddizione con le radici più genuine della nostra Nazione.

 

 

 

 

 

 

 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui